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da Osservatorio Strategico CeMiSS, n. 3 2015

Balcani, il ritorno dei fantasmi


Gli eventi di Kumanovo, punto di situazione in Macedonia. Un gruppo paramilitare di circa 50 unità, composto prevalentemente da cittadini kosovari, che aveva costituito una base militare logistica alla periferia della cittadina di Kumanovo (15 chilometri dal confine con il Kosovo, 100.000 abitanti, di cui circa 30% albanofoni) è stato identificato, attaccato e neutralizzato dalle forze di sicurezza macedoni, dopo violenti combattimenti durati 24 ore che hanno prodotto la morte di 8 agenti di polizia e 14 guerriglieri oltre a 37 feriti. Ventinove persone del commando armato, sono state arrestate. Secondo le forze di sicurezza macedoni, che hanno evacuato la popolazione civile dal quartiere Divo Naselje, il gruppo intercettato era entrato nel territorio macedone illegalmente dal vicino Kosovo e aveva come obiettivo quello di preparare una serie di attentati terroristici nella capitale Skopje in occasione delle fase di proteste antigovernative in corso per aumentare il caos e perseguire un progetto di destabilizzazione. Il gruppo paramilitare aveva uniformi e stemmi riconducibili al Ushtria Çlirimtare Kombëtare (UCK/NLA o UCK macedone, l’Esercito di Liberazione Nazionale che combatté contro le forze di sicurezza macedoni nel 2001) ed era guidato da volti noti della lotta di indipendenza kosovara del 1998 e della guerriglia anti macedone del 2001. Alcuni dei presunti leader sono morti nello scontro a fuoco, come Mirsad Ndrecaj e Beg Rizaj. Quest’ultimo aveva fatto parte dell’UCK nella zona di operazione del Dukagjin, sotto il comando di Daut Haradinaj e dopo la guerra sarebbe divenuto guardia del corpo del più noto fratello, Ramush Haradinaj, ora leader del partito politico kosovaro dell’AAK. Il comandante del commando dovrebbe essere il kosovaro Sami Ukshini, soprannominato comandante Sokolj e proveniente da un importante famiglia irredentista albanese di Djakova che ha operato sia in Kosovo nel UCK/KLA, in Macedonia nel UCK/NLA e in Serbia nel UCPMB. Ukshini – uno dei pochi leader del commando arrestato e non ucciso dalle forze di sicurezza macedoni – avrebbe un lungo curriculum di nazionalista radicale pan-albanese. Ha partecipato alle attività paramilitari dell’UCK nel 1998, operando anche nella zona di Kumanovo e, successivamente, avrebbe partecipato all’insurrezione del 2001 in Macedonia. In seguito, il suo gruppo avrebbe rifiutato di accettare gli accordi di pace di Ohrid, continuando a partecipare negli anni seguenti ad attività violente su base etnica, dirette contro la stabilità e l’unità territoriale della Macedonia. Per questo motivo nel 2004 è stato oggetto di misure restrittive da parte dell’Unione Europea che lo ha inserito in una lista di persone a cui è vietato l’accesso nell’Unione. Secondo le autorità macedoni, tra gli arrestati che hanno preso parte all’attacco vi sono 18 cittadini kosovari, 2 cittadini macedoni residenti in Kosovo, 9 cittadini macedoni ed un cittadino albanese.   

Contesto politico interno. I combattimenti di Kumanovo hanno avuto luogo in un complesso e confuso contesto di deterioramento della situazione interna, deterioramento che procede da alcuni anni e aggravatasi negli ultimi 12 mesi con l’opposizione che ha disconosciuto i risultati elettorali del 2014 e l’elezione del nuovo parlamento (ove la coalizione d’opposizione del SDSM si è fermata al 25% dei consensi contro il 43% della colazioni VPMO-DPMNE). Il rifiuto da parte dell’opposizione di riconoscere il risultato elettorale – che pur con alcune serie critiche e raccomandazioni è stato di fatto ritenuto compatibile con gli standard internazionali da parte degli osservatori OSCE (vedasi ad esempio la dichiarazione congiunta US/EU del 29 aprile 2014 che riporta “the US and EU representatives wish to commend the citizens of this country who exercised their right to vote in the 27 of April parliamentary and presidential elections. We echo the assessment of OSCE/ODIHR regarding the effective administration of the recent elections. The concerns they have expressed relating to biased media coverage and a blurring of state and party activities not providing a level playing field, similar to those expressed in 2011 and 2013, need to be addressed. These efforts must involve the parties who form the new government, engaging in a constructive spirit with the opposition) – ha innescato a partire dall’autunno 2014 una dura spirale di scontri extraparlamentari tra governo ed opposizione, che non ha risparmiato colpi proibiti da entrambe le parti. In settembre l’opposizione aveva chiesto riservatamente a Gruevski di dimettersi altrimenti avrebbe pubblicato intercettazioni di conversazioni in proprio possesso tra membri del governo e di funzionari dello Stato. Intercettazioni, però, di oscura provenienza e verosimilmente illecite. Lo scontro è poi proseguito senza esclusione di colpi, con il governo che ha proceduto ad arrestare e mettere sotto processo un ex capo dei servizi di sicurezza del paese, Zoran Verusevski ed accusando l’opposizione di tentativo di colpo di Stato. È in questo confuso e teso contesto interno che sono iniziate le proteste di piazza dell’opposizione, mentre il clima regionale si deteriorava in parallelo seguendo i riflessi delle polarizzazioni tra Europa e Russia dovute al conflitto ucraino. Non stupisce dunque che i fatti di Kumanovo, su cui sarebbe opportuno conoscere i risultati degli interrogatori degli arrestati da parte degli inquirenti macedoni, hanno subito rappresentato oggetto di opposte rappresentazioni della realtà, ispirando le più diverse e contrastanti teorie cospirazioniste. Interpretazioni che sono oggettivamente facilitate dall’incompletezza delle informazioni e, soprattutto, dal prolungato momento di instabilità sia interna alla Macedonia che regionale. 

Inquadrare i fatti di Kumanovo rende necessario ripercorrere anche velocemente alcuni dei principali avvenimenti del paese negli ultimi 12 mesi circa, quantomeno dalle elezioni vinte dal VPMO-DPMNE della scorsa primavera ad oggi. Solo partendo da un tale flusso di eventi può essere più facile tentare di dare una lettura del ritorno dei fantasmi dell’UCK al confine tra Kosovo, Macedonia e Serbia. Da una rilettura e selezione ragionata degli eventi che in qualche modo possono essere utili in modo diretto o indiretto per contestualizzare lo scontro a fuoco di Kumanovo abbiamo selezionato la seguente timeline: 

Uno sguardo all'ultimo biennio tenendo in mento quanto accaduto a Kumanovo: timeline degli eventi di rilievo in Macedonia 2014 e 2015

2014

  • 27 aprile. Elezioni vinte dal VPMO-DPMNE e contestate da SDSM. Gruevski forma l’esecutivo con il partito albanese DUI di Ahmeti
  • 20 - 21 maggio. Due notti di proteste e di scontri tra manifestanti slavo-macedoni e la polizia in seguito all’uccisione di un ragazzo slavo-macedone da parte di un macedone-albanese.
  • 4 Luglio. Processo Smilkovci/Operazione Monster. Sei cittadini macedoni albanesi sono condannati all’ergastolo per un caso del 2012, l’uccisione di 5 macedoni ortodossi uccisi il giorno di Pasqua del 2012 al lago Smilkovci. Secondo l’accusa, che ha seguito la pista religiosa, i condannati erano degli islamisti radicali. Nel 2012 il caso aveva provocato incidenti interetnici ed attacchi contro cittadini di etnica albanese. La sentenza del 2014 sarà invece duramente contestata da una violenta manifestazione di protesta di 1.500 salafiti macedoni albanofoni. 
  • 6 ottobre. 17 persone sono condannate in uno scandalo di spionaggio internazionale per aver venduto informazioni classificate a servizi di paesi stranieri.
  • 9 dicembre, Pristina. Formazione del nuovo governo kosovaro con primo ministro Isa Mustafa, di fatto primo esecutivo kosovaro non guidato da un ex UCK.

2015

  • 23 gennaio. Arresto di Zoran Varusevski, già capo dei servizi di sicurezza macedoni durante il governo scial-democratico.
  • 31 gennaio, Skopje. Conferenza stampa del primo ministro Gruevski che accusa il capo dell’opposizione di spionaggio e di tentativo di colpo di stato
  • 9 febbraio, Skopje. Prima conferenza stampa del capo dell’opposizione Zoran Zaev con la diffusione pubblica di intercettazioni che provano l’esistenza di piani di intercettazioni illegali di massa disposte dal governo su oltre 20.000 persone.
  • 10 marzo, Skopje. Pubblicate dall’opposizione nuove intercettazioni relative a presunti brogli elettorali.
  • 16 febbraio, Skopje. Riunione congiunta dei gabinetti dei governi serbo e macedone suggellano la normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Skopje, inclinatasi dopo il riconoscimento del Kosovo da parte della Macedonia. Firmati numerosi accordi di cooperazione economica e discusse le modalità di realizzazione di un interconnettore di gas tra Vranje e Kumanovo. Valutata anche la possibilità di aprire missioni diplomatiche congiunte all’estero, sul modello dei paesi scandinavi. 
  • 7 aprile, Budapest. I Ministri degli esteri di Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria si incontrano per discutere possibilità di collaborazione in campo energetico sul progetto Turkish – Stream.
  • 7 aprile, Tirana. Rama dichiara inevitabile l’Unione di Albania e Kosovo, parlando ambiguamente di un processo che potrebbe avvenire all’interno della UE o al di fuori di essa. 
  • 21 aprile, Goshnice. Un gruppo di 40 uomini armati con uniformi dell’ex UCK/NLA ha attaccato un posto di polizia di frontiera tra Macedonia e Kosovo, picchiando i poliziotti macedoni ed occupandolo per un ora.
  • 1 maggio, Skopje. Il Procuratore di Stato macedone iscrive formalmente il capo dell’opposizione Zaev nel registro degli indagati accusandolo di “violenza contro alte cariche dello Stato” per via dello scandalo delle intercettazioni, ritirandogli il passaporto.
  • 5 maggio, Skopkje. Proteste di piazza per la dimissione del primo Ministro Gruevski. Scontri tramanifestanti (2.000) e polizia. 38 agenti feriti e 30 arresti
  • 8 maggio, Macedonia. Nuove proteste antigovernative a Skopje e in altre città del paese con alcune migliaia di partecipanti.
  • 9 maggio, Mosca. Il presidente macedone Ivanov partecipa alle celebrazioni per la vittoria sovietica nella Seconda Guerra Mondiale. Ivanov ed il presidente serbo Nikolic, sono stati gli unici capi di Stato di un paese europeo presenti a Mosca. La visita viene interrotta per gli incidenti di Kumanovo che costringono il presidente a rientrare anticipatamente a Kumanovo. 
  • 9 maggio, Kumanovo. Scontri a fuoco tra le forze di sicurezza macedoni e un gruppo di irredentisti riconducibile al UCK/NLA.
  • 11 maggio, Pristina. Il Presidente del Kosovo Jahjaga e il Primo Ministro Mustafa hanno condannato con una dichiarazione comune la partecipazione di cittadini kosovari nel conflitto di Kumanovo.
  • 13 maggio, Macedonia. Dimissioni del Ministro degli interni Gordana Jankulovska, del Ministro dei Trasporti Mile Janakieski e del Direttore dell’intelligence Saso Mijalkov.
  • 15 maggio, Kosovo. Polizia kosovara perquisisce abitazioni di familiari di cittadini kosovari coinvolti negli scontri di Kumanovo
  • 15 maggio, Tirana. Ministro degli esteri albanese chiede investigazione internazionale sul caso di Kumanovo
  • 17 maggio, Skopje. Manifestazione anti-governativa di oltre 20.000 persone per dimissioni governo.
  • 18 maggio, Skopje. Manifestazione pro-governativa di supporto al governo di circa 20.000 persone
  • 20 maggio, Tirana. Il primo ministro albanese Edi Rama minaccia un veto dell’Albania per un futuro accesso della Macedonia alla NATO se non saranno attuati gli accordi di Ohrid. 
  • 20 maggio, Pristina. L’associazione dei veterani di guerra dell’UCK organizza a Pristina una manifestazione di protesta di circa 300 persone chiedendo la liberazione dei combattenti arrestati a Kumanovo e la restituzione dei corpi. Espongono bandiere della grande Albania e utilizzano lo slogan “i nostri ragazzi sono liberatori”.
  • 20 maggio, Mosca. Il Ministro degli esteri russo Lavrov afferma che la crisi macedone è stata orchestrata dall’estero ed è da collegarsi con il rifiuto del primo ministro Gruevski di applicare sanzioni economiche contro la Russia.  

Analisi e valutazioni

1.     La società macedone sta dimostrando un alto livello di resistenza alle eccezionali pressioni interne ed esterne che subisce e che si sono aggravate a partire dal 2008, ma che appaiono destinate ad aumentare nel breve – medio termine (crescente impoverimento economico ed alto livello di miseria della popolazione, alta disoccupazione, inflazione, compresenza di estremismi nazionalisti albanesi e macedoni, avanzata di forme di estremismo religioso, questione indefinita del nome, ingerenze di paesi contermini e veti all’accesso nella NATO e nella UE, cattiva gestione della cosa pubblica e corruzione). Dopo 15 anni di crisi e di transizione incompiuta, di conflitto etnico e divisioni politiche radicali la società macedone appare avere costruito alcuni anticorpi ed ha sviluppato anche dei meccanismi moderatori dell’escalation dello scontro.                                                                                    

2.     Sovrapporsi di numerose teorie cospirazioniste e dietrologiche relative agli eventi di Kumanovo. Sia nel paese che tra molti osservatori internazionali, la notizia della penetrazione in Macedonia di un gruppo armato di paramilitari intenzionati a compiere atti di terrorismo per affermare il progetto della grande Albania è stata accolta con sorpresa e con un diffuso scetticismo. Ciò, nonostante la presenza di numerosi elementi che si possono ritenere “facilitatori” quali l’esistenza di precedenti storici, il fatto che i sentimenti politici pan-albanesi siano tutt’altro che sopiti, l’ancora vasta disponibilità di armi e la facilità di procurarsele, la presenza di ampie fasce di malcontento e di marginalità sociale sia in Kosovo che in Macedonia, il fatto che siano sostanzialmente incontrollati i confini tra Kosovo, Macedonia e Montenegro e che si registra un profondo malcontento di parti della minoranza albanese verso i partiti albanesi. Insomma, gli elementi per un potenziale insurrezionale su base etnica vi sarebbero tutti, anche per una spiegazione endogena del fenomeno. Eppure in molti hanno letto gli eventi di Kumanovo come parte di più ampi e complessi disegni, in cui la piccola Macedonia sarebbe inserita in giochi strategici più grandi, ed hanno subito optato per l’opzione esogena. Secondo alcuni, si è trattato di un tentativo da parte governativa di fabbricare una minaccia irredentista che consentisse di ricompattare la popolazione slavo-macedone spaccata dalla protesta antigovernativa interna. Altri hanno invece ritenuto che l’assalto armato, così come le proteste di piazza, siano un progetto occidentale per modificare il corso del governo macedone in politica estera e creare, nel cuore dei Balcani, un altro scenario simile a quello ucraino. Naturalmente, entrambe le tesi sono suffragate da ancora meno riscontri ed informazioni rispetto a quelli disponibili nella versione ufficiale macedone, eppure entrambe hanno avuto un ampio successo come chiave di lettura degli eventi. Al di là della loro correttezza, queste ipotesi hanno la loro rilevanza strategica, in quanto se è importante ricostruire cosa sia realmente accaduto, è altrettanto importante verificare come i principali stakeholders vogliano utilizzare gli eventi ai fini della propria azione strategica. Nel fluido caos balcanico, più che la realtà spesso conta la sua percezione, e l’interpretazione che di essa si vuole dare e come questa viene utilizzata per alimentare le diverse narrative. 

3.     Situazione regionale non è paragonabile al 2001. Ad ogni modo, qualunque sia il contesto reale o artefatto degli incidenti di Kumanovo e chiunque vi sia dietro, ciò che appare evidente è che tutti gli attori coinvolti ritengano possibile e verosimile, un possibile scontro etnico, anche militare. Ciò è ravvisabile nella narrativa di chi (governo e sostenitori della maggioranza) lo ritiene un prodotto dei movimenti irredentisti albanesi ma anche di chi (parte dell’opinione pubblica albanese di Macedonia ma anche a Tirana) lo vuole collegare alla supposta incompleta attuazione degli accordi di Ohrid e dell’integrazione degli albanesi nella società macedone. Resta il fatto che, a 15 anni dagli accordi di Ohrid e alla inclusione dei partiti albanesi nella gestione politica dello Stato, il conflitto etnico appare essere considerato un driver imprevisto ma ancora possibile della politica del paese. Quello che invece è cambiato, e notevolmente, in questi anni è la situazione regionale odierna, che non è paragonabile a quella del 2001. Gli incidenti del 2001 furono effettivamente uno spill over del più grande conflitto kosovaro di due anni prima, che aveva visto un ampia mobilitazione dei combattenti dell’UCK dai territori del Kosovo, della Serbia, del Montenegro e della Macedonia. Allora il Kosovo era ancora un progetto, il paese era sotto amministrazione UN, il futuro dello status appariva incerto ed il problema della smobilitazione e disarmo dei combattenti kosovari era ancora presente.

4.     La difficile posizione del Kosovo. È proprio la costituzione del Kosovo come Stato indipendente il fattore geopolitico di maggiore differenza tra oggi ed il 2001. L’episodio di Kumanovo è un duro colpo per il nuovo Stato kosovaro, la cui creazione è stata legittimata anche come fattore di stabilizzazione della regione e come elemento di disattivazione del conflitto nazionalista (e potenzialmente religioso) tra albanesi e slavi. Il fatto che molti dei miliziani di Kumanovo siano cittadini kosovari e che l’ingresso in Macedonia sia avvenuto dal Kosovo, apparentemente nella non consapevolezza di Pristina, oltre a dimostrare una scarsa capacità di controllo della sicurezza nazionale pone una seria sfida alla legittimità del nuovo Stato kosovaro, una delle cui funzioni chiave dovrebbe essere quella di de-militarizzare il nazionalismo albanese. Su questo tema il Kosovo si gioca la propria autonomia e credibilità internazionale. Difatti se Pristina non riesce a tenere sotto controllo i fautori dei progetti della creazione di una grande Albania – progetto minoritario ma non irrilevante sul piano politico, con una discreto supporto a livello poplare – il suo stesso progetto statuale, per alcuni versi piuttosto debole – finirà per essere inesorabilmente risucchiato. Sotto questa luce di una potenziale concorrenza geopolitica tra Tirana e Pristina va vista la diversità di reazioni dei due paesi ai fatti di Kumanovo, di maggiore condanna da parte del Kosovo, maggiormente infarcita di retorica nazionalista quella albanese. 

5.     Se entra in scena Mosca. Oltre all’Albania, l’altro attore apparentemente interessato a dare una lettura politica esterna degli eventi, risucchiandoli in un più ampio scenario di confronto con l’occidente appare essere la Russia. Anche in questo caso, più che la realtà, quello che conta è la percezione e la ricollocazione dell’evento da parte russa in un differente contesto geopolitico rispetto a quello interno. È chiaro che a Mosca – unendo il piano del conflitto interno governo/opposizione con quello del conflitto panalbanese – la situazione che può crearsi in Macedonia appare familiare, ovverosia simile ad altri episodi di destabilizzazione di regimi alleati o allineati con Mosca. Dalle parole del ministro degli esteri Lavrov (I cannot judge for sure, but it so happens objectively that these events in Macedonia are unfolding against the background of the Macedonian government's refusal to join sanctions against Russia and an active support from Skopje for the plans to build the Turkish Stream pipeline, to which many in Brussels and across the Atlantic are opposed. We cannot get rid of this feeling that there's some sort of a connection) tale parrebbe essere anche la situazione in cui si trova il governo Macedone.   

6.     In conclusione, quattro appaiono essere gli scenari quadro entro cui possono essere inseriti gli eventi di Kumanovo: 1) lotta per il potere senza esclusione di colpi tra governo ed opposizione in Macedonia; 2) competizione tra Albania e Kosovo per la legittimità ed il controllo della narrativa panalbanese; 3) conflitto strategico tra UE/USA e Russia nel quadro del più ampio conflitto sull’Ucraina e sul controllo dei paesi intermedi; 4) competizione tra nazionalismo laico albanese ed un sempre più emergente e radicale islamismo albanofono e processo incorso di commistione tra nazionalismo e jihadismo, con un travaso del primo nel secondo. 

Solo lo sviluppo degli eventi e la reazione dei vari attori consentirà di identificare quali e quanti di questi vettori di scenario sono effettivamente coinvolti nei fatti in questione.  

 

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