Questo però non vuol dire che la pirateria somala è stata sconfitta. Chi conosce o studia questo tipo di fenomeno sa che esso è un crimine opportunistico, che si adatta alle circostanze. Sono state coincidenze particolari come quelle sommatesi tra il 2006 ed il 2012 in Somalia a consentire la creazione attorno ad esso di un sistema criminale transnazionale organizzato, dotato di una sua componente finanziaria e di una rete di strutture organizzatrici “professionali”. Un sistema che ha attratto migliaia e migliaia di aspiranti pirati da tutta la Somalia e centinaia di migliaia di dollari dalla diaspora all’estero per finanziare le “campagne” di pirateria. In quegli anni, sfruttando le complicità dell’amministrazione somala ma anche la leva moltiplicatrice del sistema delle assicurazioni, i pirati somali hanno prodotto profitti tra i 100 ed i 150 milioni di dollari l’anno. La “saga” della pirateria somala deve essere considerata come una storia di successo sia per la criminalità locale che per quella internazionale. La loro collaborazione ha creato un business model criminale complesso ma perfettamente funzionante, in cui dentro c’è tutto: fund rasing, arruolamenti, creazione delle squadre di assalto, intelligence, tecniche di arrembaggio, gestione del sequestro, logistica del sequestro e vettovagliamento, regole per la divisione del bottino, interpretariato, negoziazione e mediazione, conoscenza polizze d’assicurazione e meccanismi assicurativi, rapporti con le autorità della terraferma, rapporti con i media, riciclaggio dei proventi eccetera.
L’architettura di questo sofisticato modello va chiaramente ben oltre il semplice atto piratesco, che ne rappresenta la componente più elementare, ed è stata costruita nell’arco di quasi un decennio, tra il 2005 ed il 2012. Esso la differenziava rispetto ad altre piraterie dell’Africa ma anche dell’Asia o dell’America Latina. Dal 2013 questo modello operativo si inceppa. Non solo per le crescenti difficoltà ad assaltare una nave protetta da uomini armati, ma perché quel modello era evoluto con lo scopo di massimizzare i ricavi. Era divenuto un modello costoso che necessitava di riscatti costosi possibili solo riducendo al massimo il rischio di ferire o uccidere gli ostaggi. Il modello della gestione del sequestro messo sui dai pirati somali si basava su due elementi: vita degli ostaggi + polizza d’assicurazione anti sequestro. Questa accoppiata aveva consentito ai pirati somali di moltiplicare prima per 10, poi per 50 il valore dei riscatti che chiedevano negli anni novanta o nei primi anni duemila. Una nave sequestrata non valeva più duecento o trecentomila dollari ma cinque, dieci milioni di dollari, a patto che fosse assicurata e a patto che l’equipaggio fosse liberato vivo. Questo surplus finanziario ha consentito di estendere le operazioni dei pirati somali a tutto l’oceano indiano. I meccanismi antipirateria hanno abbattuto questi profitti asciugando il business che attorno ad essa era stato costruito, facendo tornare la pirateria somala al suo livello grassroot, ossia privo della sua dimensione finanziaria e criminale transnazionale.
Detto questo, non è il caso di lasciarsi andare a facili entusiasmi. Sarebbe inutile proclamare la vittoria contro la pirateria somala. Sia perché il prezzo che stiamo pagando è elevatissimo. Sia perché è nella natura stessa del crimine quello di comparire e scomparire, di trasformarsi in altre attività criminali o in altre professioni, per poi tornare, quando si abbassa la guardia, a rappresentare una minaccia anche pericolosa ma quasi mai letale. Una minaccia con cui si stabiliscono, a volte, dei – costosi – modus vivendi, come l’industria ha de facto fatto tra il 2008 ed il 2012. Per questi motivi, molti ritengono che con la pirateria si possa convivere, dalla pirateria ci si può difendere, anche efficacemente, ma che sia estremamente difficile sconfiggerla, in quanto minaccia asimmetrica ed incostante.
Per il momento l’Europa è riuscita a proteggersi da questa minaccia lungo una delle rotte internazionali più importanti per il suo benessere economico. Lo ha fatto con una forte cooperazione pubblico – privato che ha visto Marine Militari, armatori e società private di sicurezza, quest’ultime rivelatesi fondamentali per completare il meccanismo di protezione misto, collaborare assieme per raggiungere questo risultato (questo apre una seria di altre questioni molto rilevanti sulla privatizzazione della sicurezza globale). Per il momento le missioni EU e NATO sono state riconfermate fino al dicembre 2016, segno che resta elevata l’attenzione sulla minaccia della pirateria. Il rischio che ora abbiamo davanti è quello che se il numero degli assalti rimarrà basso molti armatori preferiranno rinunciare al costo dei contractors che incide in maniera importante sui costi operativi. Se il numero di navi senza personale armato a bordo – pubblico o privato che sia – diverrà sostanziale (oltre i 2/3 delle navi in transito), il meccanismo di autotutela così come è stato costruito diviene vulnerabile e c’è il rischio che possa aprirsi una nuova stagione di sequestri.
Il libro di Maurizio Fòlino affronta tutti gli aspetti cruciali per la comprensione del fenomeno della pirateria somala ed effettua una ricca e dettagliata ricostruzione sia delle sue cause e dinamiche, sia del complesso degli strumenti che sono stati messi in campo per il suo contrasto.
Presentazionde del volume di Maurizio Folino "La pirateria nel Corno d'Africa come minacccia alla sicurezza".
Edizioni Aracne 2015, Collana Cenass - Confinis di Studi Strategici e Geopolitici nell'Estero Vicino.
L’architettura di questo sofisticato modello va chiaramente ben oltre il semplice atto piratesco, che ne rappresenta la componente più elementare, ed è stata costruita nell’arco di quasi un decennio, tra il 2005 ed il 2012. Esso la differenziava rispetto ad altre piraterie dell’Africa ma anche dell’Asia o dell’America Latina. Dal 2013 questo modello operativo si inceppa. Non solo per le crescenti difficoltà ad assaltare una nave protetta da uomini armati, ma perché quel modello era evoluto con lo scopo di massimizzare i ricavi. Era divenuto un modello costoso che necessitava di riscatti costosi possibili solo riducendo al massimo il rischio di ferire o uccidere gli ostaggi. Il modello della gestione del sequestro messo sui dai pirati somali si basava su due elementi: vita degli ostaggi + polizza d’assicurazione anti sequestro. Questa accoppiata aveva consentito ai pirati somali di moltiplicare prima per 10, poi per 50 il valore dei riscatti che chiedevano negli anni novanta o nei primi anni duemila. Una nave sequestrata non valeva più duecento o trecentomila dollari ma cinque, dieci milioni di dollari, a patto che fosse assicurata e a patto che l’equipaggio fosse liberato vivo. Questo surplus finanziario ha consentito di estendere le operazioni dei pirati somali a tutto l’oceano indiano. I meccanismi antipirateria hanno abbattuto questi profitti asciugando il business che attorno ad essa era stato costruito, facendo tornare la pirateria somala al suo livello grassroot, ossia privo della sua dimensione finanziaria e criminale transnazionale.
Detto questo, non è il caso di lasciarsi andare a facili entusiasmi. Sarebbe inutile proclamare la vittoria contro la pirateria somala. Sia perché il prezzo che stiamo pagando è elevatissimo. Sia perché è nella natura stessa del crimine quello di comparire e scomparire, di trasformarsi in altre attività criminali o in altre professioni, per poi tornare, quando si abbassa la guardia, a rappresentare una minaccia anche pericolosa ma quasi mai letale. Una minaccia con cui si stabiliscono, a volte, dei – costosi – modus vivendi, come l’industria ha de facto fatto tra il 2008 ed il 2012. Per questi motivi, molti ritengono che con la pirateria si possa convivere, dalla pirateria ci si può difendere, anche efficacemente, ma che sia estremamente difficile sconfiggerla, in quanto minaccia asimmetrica ed incostante.
Per il momento l’Europa è riuscita a proteggersi da questa minaccia lungo una delle rotte internazionali più importanti per il suo benessere economico. Lo ha fatto con una forte cooperazione pubblico – privato che ha visto Marine Militari, armatori e società private di sicurezza, quest’ultime rivelatesi fondamentali per completare il meccanismo di protezione misto, collaborare assieme per raggiungere questo risultato (questo apre una seria di altre questioni molto rilevanti sulla privatizzazione della sicurezza globale). Per il momento le missioni EU e NATO sono state riconfermate fino al dicembre 2016, segno che resta elevata l’attenzione sulla minaccia della pirateria. Il rischio che ora abbiamo davanti è quello che se il numero degli assalti rimarrà basso molti armatori preferiranno rinunciare al costo dei contractors che incide in maniera importante sui costi operativi. Se il numero di navi senza personale armato a bordo – pubblico o privato che sia – diverrà sostanziale (oltre i 2/3 delle navi in transito), il meccanismo di autotutela così come è stato costruito diviene vulnerabile e c’è il rischio che possa aprirsi una nuova stagione di sequestri.
Il libro di Maurizio Fòlino affronta tutti gli aspetti cruciali per la comprensione del fenomeno della pirateria somala ed effettua una ricca e dettagliata ricostruzione sia delle sue cause e dinamiche, sia del complesso degli strumenti che sono stati messi in campo per il suo contrasto.
Presentazionde del volume di Maurizio Folino "La pirateria nel Corno d'Africa come minacccia alla sicurezza".
Edizioni Aracne 2015, Collana Cenass - Confinis di Studi Strategici e Geopolitici nell'Estero Vicino.