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La crisi turco-russa dopo l'abbattimento del SU-24

 La crisi turco – russa dopo l’abbattimento del SU-24 e suoi possibili sviluppi

Contesto e cause dell’abbattimento.

Fin dall’inizio del conflitto siriano, Ankara e Mosca si sono confrontate a distanza sui fronti opposti della guerra civile. Nonostante ciò, fino al 2015, il sostanziale stallo del conflitto e l’assenza di un diretto intervento russo, ha fatto si che i due paesi riuscissero  a mantenere costruttivi i loro rapporti bilaterali, grazie all’isolamento e compartimentalizzazione del dossier siriano all’interno del rapporto bilaterale. L’intervento militare russo, il vacillare del potere dell’ISIS in Siria che ha fatto seguito all’abbattimento del veicolo russo SU-24 hanno portato nel mense di novembre 2015 ad un crollo nei rapporti tra i due paesi. Il deterioramento delle relazioni tra Turchia e Russia è iniziato con l’avvio dei bombardamenti russi in Siria che hanno in massima parte concentrato la propria azione nelle aree nell’entroterra della città di Latakia, controllata dal Free Sirian Army e da altri gruppi jihadisti. 
Ad innescare la reazione militare di Ankara che ha dato il via alla crisi con la Russia, non è stato il semplice sorvolo dello spazio aereo turco da parte del SU-24 russo, bensì la scelta strategica di Mosca di colpire con durezza le basi delle milizie turcomanne, come Liwa Jabal-Turkmen, La Brigata della Montagna dei Turkmeni ed anche le catene logistiche che partendo dal territorio turco garantiscono il flusso di armi e altre risorse alle  milizie anti Assad non ISIS, come  il Free Syrian Army ma anche gruppi che combattono congiuntamente sotto il coordinamento del cosiddetto “Esercito della Conquista” (di cui fa parte anche al-Nusra). Queste forze,  premono dalle montagne sulla regione litoranea di Latakia ed incombono sulle basi militari russe che  sostengono il governo di Assad e rappresentano il vero fronte di guerra per Damasco. Sono stati, al contrario, i bombardamenti russi del mese di novembre che hanno reso possibile l’offensiva terrestre delle forze governative supportate da milizie iraniane sciite che hanno consentito la liberazione della base aerea di Kuwereis, ad Est di Aleppo assediata da due anni dall’ISIS. Ma soprattutto, tra gli obiettivi colpiti vi sembrano essere specificamente forze ribelli moderate inquadrate all’interno del Free Syrian Army. La necessità strategica per i russi di attaccare questi obiettivi è dovuta al fatto che proprio queste forze moderate sono quelle che hanno ricevuto attraverso la Turchia, efficienti sistema d’arma anti carro come il TOW, che rappresentano un enorme minaccia per l’avanzate delle truppe dell’esercito siriano.  Il 19 Ottobre i bombardamenti aerei russi hanno interessato, per la terza volta, un’unità dell’Esercito Libero Siriano dotato di tali sistemi d’arma  (la 1st Coastal Division, uccidendone il comandante, Basil Zamo).  
Nel corso del mese di novembre Ankara ha dunque intuito che l’obiettivo reale dei bombardamenti  russi era quello di disarticolare non tanto l’ISIS quanto quei gruppi che rappresentano una minaccia diretta ad Assad, sia perché sono più vicini territorialmente alle aree sotto controllo del regime, sia perché sono quelli che, contrariamente allo Stato Islamico, potrebbero rappresentare un’alternativa politica alla fine di Assad. E che, hanno in dotazione sistemi d’arma sofisticati in grado di mettere in difficoltà le forze siriane.  Inoltre, la maggior parte di questi bombardamenti e combattimenti avvengono in un area molto sensibile per Ankara, nella regione turcmena di Bayirbucak a poche decine di chilometri dal confine turco.  Dal punto di vista Turco, dunque, l’abbattimento dell’aereo russo non è stato un’eccesso estemporaneo nella difesa del proprio spazio aereo ma una reazione calcolata e programmata nei confronti di Mosca con la quale dimostrare che Ankara è risoluta ad utilizzare ogni mezzo e a correre il prezzo di un conflitto pur di difendere i propri interessi ed i propri attori proxi nel conflitto siriano.  
La reazione di Mosca… La reazione russa all’abbattimento del proprio aereo e all’uccisione di uno dei due piloti è state fredda ma decisa. Il presidente russo ha pubblicamente affermato che Ankara si pentirà per aver abbattuto l’aereo russo, e diverse misure di carattere economico sono state adottate nei quattro principali settori di collegamento economico tra i due paesi: energia, agroalimentare, turismo e progetti di costruzione. 
Il 28 Novembre Putin firma il decreto presidenziale che impedisce, dal primo gennaio 2016, di impiegare sul territorio russo lavoratori turchi. La misura colpisce particolare il settore delle costruzioni. Viene inoltre abolito l’accordo di liberalizzazione dei visti e vengono adottate tariffe sull’importazione di una serie di prodotti agroalimentari. Una misura di un certo impatto economico, visto il fatto che la Russia importa - dopo le sanzioni di ritorsione varate contro i paesi europei per la crisi ucraina - fino al 20% del proprio fabbisogno alimentare dalla Turchia. 
 
Viene anche proibita la possibilità di realizzare voli charter tra i due paesi e le società di viaggi e turismo sono avvisate a non vendere pacchetti di viaggio verso la Turchia, colpendo uno dei principali flussi economici tra i due paesi. Di piccola entità ma significativo per la sua localizzazione è la misura presa da Mosca di congelare 30 progetti d’investimento turchi nella Crimea, regione abitata anche da una minoranza turcofona, per un valore di 500 milioni di dollari.
 
…in campo energetico. Ovviamente, il piatto forte delle relazioni tra Russia e Mosca è rappresentato dalle relazioni energetiche. Anche se non formalmente inseriti nel decreto in cui si sanzionano numerosi rapporti economici tra i due paesi, devono ritenersi di fatto sospesi i due  mega progetti strategici energetici, la costruzione di Turkish Stream e la realizzazione del primo reattore nucleare civile ad Akkuyu, un progetto da 20 miliardi di dollari. Il congelamento dei lavori di Turkish Stream - un progetto già dalla dubbia fattibilità - potrebbe comportare non secondarie conseguenze finanziarie per Gazprom, in quanto esso avrebbe dovuto assorbire una parte dei costi già sostenuti dall’azienda per South Stream (circa 12 miliardi di dollari). Per quanto riguarda la fornitura diretta di gas, non vi sono per il momento conseguenze sulle esportazione di gas russo verso la Turchia. La Turchia rappresenta per la Russia, difatti, il secondo mercato di esportazione dopo la Germania ed ovviamente è elevato il tasso di interdipendenza energetica reciproca. Due sono i contratti principali che regolano l’acquisto e la consegna di gas tra Mosca ed Ankara. Il primo, con scadenza 2025, obbliga Mosca a fornire ad Ankara 16 miliardi di metri cubi di gas (bcm) annui mentre il secondo, con scadenza 2021, prevede la consegna di ulteriori 4 bcm. Anche a fronte di una crescente tensione tra i due paesi, difficilmente  Mosca potrà  evitare di ottemperare ai contratti in essere.   
… in campo economico. Le conseguenze economiche dirette per la Turchia rischiano di essere importanti se le sanzioni saranno applicate fino in fondo: secondo la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Svilupo (EBRD) se le sanzioni saranno applicate integralmente, la stima del costo per Ankara non sarebbe inferiore al 0,3% del PIL ma potrebbe arrivare fino allo 0,7. Ciò vuol dire che il danno commerciale per Ankara potrebbe oscillare attorno ai 10 miliardi di dollari. Anche la Turchia sta valutando se procedere o meno ad adottare proprie sanzioni economiche nei confronti della Russia, come recentemente confermato dal premier Davutoglu. Ciò potrebbe prendere la forma dell’adesione di Ankara alle sanzioni USA e UE varate contro la Russia (e recentemente rinnovate fino a metà 2016) in occasione dell’annessione dell’Ucraina, sanzioni a cui, per il momento, la Turchia non partecipa. Tale decisione, avrebbe ovviamente la conseguenza di riallineare la politica estera turca verso Mosca a quella europea e statunitense. 
 
…in campo militare. Se il Cremlino ha deciso di impiegare prevalentemente lo strumento economico e diplomatico come reazione all’abbattimento del SU-24, non sono tuttavia mancate le risposte militari alla crisi. In primo luogo, nei giorni successivi all’abbattimento una prima risposta vi è stata sul terreno con un intensificarsi dei bombardamenti sull’area turcomanna della Siria a Nord Est di Latakia, area in cui è precipitato l’aereo russo. In secondo luogo Mosca definendole “misure per garantire la protezione delle proprie operazioni militari in Siria” ha proceduto a rafforzare il proprio sistema missilistico di protezione dello spazio aereo siriano, con l’invio del sistema antimissile S-400 nella base aerea di Hmeymim e reintroducendo la scorta con caccia da superiorità aerea dei velivoli impegnati nelle operazioni di bombardamento. Inoltre ha invitato il proprio incrociatore antimissile “Moskva” dotato di missili terra aria s-300 nelle acque di fronte a Tartus. In questo modo la Russia ha esteso e rafforzato il proprio schermo difensivo dei cieli siriani (ed iracheni), schermo che costituisce di fatto una no fly zone per i velivoli turchi ma che copre anche parte della Turchia meridionale, incluse le basi utilizzate dagli USA. Il raggio d’azione del dispositivo di protezione aerea russa si estendo ora a circa 500 chilometri dalle coste siriane. Il Mistero della Difesa russo ha specificatamente indicato che tale spiegamento sarà utilizzato per l’annientamento di ogni minaccia nemica. Si percepisce che per minaccia Mosca intende non solo quelle rivolte ai propri assetti militari ma anche a quelli dei propri alleati.    
 
Conseguenze per Ankara della reazione russa: sul ruolo regionale dell’Iran. Sul piano regionale, un’altra conseguenza del deterioramento dei rapporti politici e diplomatici tra Mosca ed Ankara è rappresentato da un aumento del potere d’intermediario dell’Iran nei confronti delle altre due potenze regionali. Teheran osserva con un certo distacco la tensione crescente tra Turchia e Russia, intravedendo nella sua gestione la possibilità di rafforzare il proprio ruolo regionale attraverso la gestione della crescente tensione tra i due paesi. Un escalation politico militare, difatti, complicherebbe lo scenario di reinserimento di Teheran nel sistema internazionale e potrebbe mettere in discussione la stessa influenza regionale conseguita.  Le relazioni tra Turchia, Russia ed Iran sono particolarmente complesse e dalla fine della guerra fredda esse sono improntate ad una particolarissima competizione a tre su diversi teatri quali il Caucaso, l’Asia Centrale ed oggi anche lo scenario siriano - iracheno. È una competizione caratterizzata da una profonda sfiducia nelle intenzioni degli altri due attori ma ugualmente segnata dalla consapevolezza per ciascuno di loro della inevitabile influenza e rilevanza degli altri due. Spesso l’avanzata di un attore in uno specifico campo d’influenza viene direttamente percepita da uno o entrambi degli altri attori come una minaccia alla propria sicurezza.  Ciò si manifesta in una particolare forma di “competizione a tre”, caratterizzata da ampie ma irregolari fasi di collaborazione tattica a due che si manifesta in precarie “collaborazioni strategiche duali”, per periodi limitati e su specifici teatri, volte ad erodere o contenere la crescita dell’influenza del terzo attore quando questo avanza la sua influenza in qualche campo modificando l’equilibrio a tre. Ovviamente, anche la crisi turco - russa, va inquadrata in questo particolare gioco geopolitico, ed apre in prospettiva le porte per una rafforzata collaborazione energetica tra Turchia ed Iran. Se Turchia e Russia non ricuciranno a breve le proprie divergenze, il progressivo rientro di Teheran sulla scena internazionale spingerà Ankara a stringere sempre di più le proprie relazioni energetiche - ad oggi ancora non facili - con Teheran, che resta in prospettiva la migliore alternativa energetica al gas russo. Tale scenario, sarà tanto più verosimile nel caso in cui dovesse essere recuperato il vecchio progetto Nabucco di una linea di approvvigionamento verso l’Europa da Sud Est attraverso la Turchia. 
 
… nei rapporti tra Ucraina e Turchia. Un altro scenario regionale limitrofo che potrebbe essere influenzato dalla crisi russo turca è quello ucraino. Non bisogna dimenticare che la Turchia, difatti, è un paese fondamentale nei due scenari  militari in cui è oggi proiettata ( o esposta) la Russia. Quello del Mediterraneo Orientale, con la Siria e quello del Mar Nero, con l’Ucraina. Nel mettere sul tavolo le varie carte di una possibile escalation tra i due paesi, la Turchia ha ben lasciato intendere la possibilità di rafforzare la propria cooperazione nel campo dell’industria militare con l’Ucraina, probabilmente elaborando progetti congiunti nel campo dello sviluppo di carri armati, intercettando così la crescente spesa militare ucraina, che probabilmente resterà a lungo elevata per sostenere lo sforzo di modernizzazione militare del paese ed il confronto con Mosca. Pur rappresentando per il momento solo un ipotesi, è verosimile che lo sviluppo di un partenariato tra Turchia e Ucraina in funzione anti russa sarà tra i possibili temi della visita di Poroshenko ad Ankara agli inizi del 2016. Il governo ucraino ha ad ogni modo subito colto l’occasione del deterioramento delle relazioni tra i due paesi offrendo grano e altri prodotti alimentari di propria produzione nel caso in cui la Russia proibirà l’esportazione di cereali verso la Turchia con un export ban. La Turchia rappresenta difatti il primo mercato estero per i cereali russi, con 4,1 tonnellate di grano importato. 
 
… per la sicurezza energetica. La crisi con Mosca non ha direttamente prodotto conseguenze negli approvvigionamenti, né è verosimile che lo faccia nel breve periodo, ma sul piano strategico il confronto aperto che si è generato con Mosca riattiva una secolare storia di contrapposizione ed ha spinto la Turchia a mettere in atto possibili contromisure nel caso in cui la crisi dovesse portare ad un precipitare degli eventi. Il governo turco ha quindi proceduto con lo sviluppare possibili alternative per ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia, dipendenza particolarmente elevata per quanto riguarda il gas, con 27 bcm per anno importati da Ankara, il 58% del suo fabbisogno. A tale proposto, in una mossa collegata con gli sviluppi della tensione con Mosca, il presidente Erdogan si è recato in visita in Qatar mentre il Primo Ministro  turco Davutoglu si recava in Azerbaijan, due alleati importanti di Ankara e due suoi fornitori energetici. Dall’Azerbaijan la Turchia si aspetta un eventuale accelerazione nella realizzazione del progetto della Trans-Anatolian Pipeline (TANAP) ed un eventuale aumento della quantità di gas trasportato. In Qatar la Turchia cerca di negoziare le modalità con cui spostare una parte del suo mix di approvvigionamento dai gasdotti russi alle navi metaniere provenienti dal Qatar. Un opzione altamente significativa dal punto di vista geopolitico ma che richiederebbe tempi ed investimenti notevoli, non conciliabili con gli sviluppi dell’attuale crisi, visto che la Turchia ha solo due rigassificatori di gas naturale, con una capienza annuale di 8,2 bcm (Marmara Ereglisi) e 5 bcm (Aliaga). E soprattutto una capacità di stoccaggio di soli 3 bcm. 
… nella geopolitca del Caucaso. Un terreno quasi naturale di confronto tra Russia e Turchia è rappresentato dal Caucaso, ed in particolare dal frozen conflict esistente tra Armenia, paese alleato di Mosca, e l’Azerbaijan, alleato di Ankara, per il Nagorno-Karabak. Alle avventate parole di Davutoglu due giorni dopo l’abbattimento dell’aereo (“La Turchia farà ogni cosa per liberare i territori occupati dell’Azerbaijan), Mosca ha risposto con la decisione di schierare diversi elicotteri da combattimento a rinforzare la propria base area di Erebuni, nelle vicinanze di Yerevan a pochi chilometri dal confine turco. Tuttavia, nonostante le ottime relazioni esistenti tra Ankara e Baku, difficilmente l’Azerbaijan correrà il rischio di schierarsi apertamente con Ankara nel caso di un’ulteriore estensione del conflitto tra Turchia e Russia. Posizione in parte condivisa anche dalla Georgia che, nonostante il conflitto con Mosca del 2008, non può fare a meno di mantenere relazioni non conflittuali con la Russia, anche per via dei frozen conflicts esistenti all’interno del suo territorio. Di fatto, entrambi i due alleati di Ankara nel Caucaso non possono permettersi un deterioramento delle proprie relazioni con la Russia e spingeranno la Turchia alla prudenza.   
Conclusioni
 
La crisi tra Russia e Turchia rischia di restare a lungo in una terra di mezzo tra l’escalation e il riassorbimento. Essa rimarrà come una spada di Damocle sulla libertà d’iniziativa turca in Siria ed avvantaggerà le operazioni terrestri del governo di Damasco e dei suoi alleati. Putin è un giocatore troppo esperto dei meccanismi dell’escalation tra Russia e NATO per non essere consapevole che in questa fase strategica in cui è esposto contemporaneamente in due conflitti in regioni adiacenti alla Turchia, quello ucraino e quello siriano, non è suo interesse ingaggiare Ankara in una politica di confronto muscolare. Anche perché l’escalation di un tale confronto non è escluso che possa comportare un deterioramento delle delicate relazioni tra Mosca e Teheran, molto importanti per la Russia in questo momento.  
L’abbattimento dell’aereo russo avrà sicuramente un effetto sulle già precarie basi su cui poggiano i colloqui di Vienna, quantomeno ulteriormente rimandando l’avvio di eventuali colloqui di pace.     
Al di fuori del teatro siriano, non essendovi i presupposti affinché la crisi esploda in una vera contrapposizione militare tra Mosca ed Ankara, essa irradierà in maniera più soft i vari teatri in cui l’estero vicino turco e quello russo si sovrappongono, ed in particolare nel Caucaso e nel Mar Nero, soprattutto con riferimento agli scenari del conflitti congelati del Nagorno – Karabakh e del Donbass.
In teoria, se Mosca volesse affondare la propria risposta in maniera incisiva e nociva per Ankara, la più efficace azione che essa potrebbe intraprendere resta all’interno del teatro siriano, ed in particolare nel supporto che essa potrebbe dare agli elementi più nazionalisti ed irredentisti del fronte curdo, incoraggiando le fazioni più intransigenti del PKK ma anche dando un sostegno militare significativo al PYD siriano, attirandolo nella sua sfera d’influenza e dando profondità strategica alle sue ambizioni di creare un’entità curda autonoma nel Nord della Siria a ridosso del confine turco.  
 
Complessivamente, la sensazione è che la crisi sia stata voluta e cercata da Erdogan, ma un ulteriore escalation non è né nel suo interesse né tantomeno in quello di Putin. Erdogan ne esce forte nel confronto bilaterale con Mosca, ma la sua politica siriana ne esce indebolita. Una delle conseguenze della crisi è ora rappresentata dal fatto che la Russia, che dalla parte sua ha il diritto internazionale in quanto opera in Siria su invito del governo internazionalmente riconosciuto, attuerà una strategia di crescente interdizione della presenza militare turca in Siria (ed eventualmente in Iraq), ad iniziare da quella aerea. Di fatti, dopo il dispiego dei missili anti aerei russi nel Nord della Siria, una delle conseguenze principali dell’abbattimento dell’aereo russo diviene la difficoltà per l’aviazione di Ankara di sorvolare lo spazio aereo siriano a fronte dell’elevato rischio di abbattimento. Viene di fatto archiviata ogni possibilità di creazione di una no fly zone in Siria che era stata per anni la richiesta di Ankara ai propri alleati, e al contrario viene a crearsi un’area d’interdizione per l’aviazione turca. Mosca, verosimilmente, resisterà dal mettere in atto una reazione diretta contro Ankara, irrigidirà i frozen conflict attorno alla Turchia ed incrementerà il proprio supporto nel conflitto siriano indebolendo ulteriormente gli attori proxy sostenuti dalla Turchia e contribuendo, con il proseguimento del conflitto, alla permanenza al potere di Assad.
 
Se questo è quello che appare poter accadere nel corso del 2016 come conseguenza della crisi turco – russa in seguito all’abbattimento del SU-24, occorre considerare che quanto accadrà nel prossimo anno produrrà ripercussioni di carattere più generale almeno per un quinquennio nei rapporti turco – russi. Il prosieguo della guerra civile siriana in un contesto di mini guerra fredda tra Russia e Turchia porterà difatti al paradosso che Mosca rischierà di sacrificare il proprio rapporto con la Turchia, perdendo Erdogan per tenersi Assad e contribuendo al riallineamento di Ankara con gli USA dopo una crisi geopolitica che dura ormai da quasi un decennio. Questo scenario di uscita dalla crisi siriana e dalla deriva geopolitica della Turchia non sarebbe necessariamente considerato come negativo a Washington.    

 
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