Quattro sono sostanzialmente le priorità del nuovo esecutivo. La prima, economica, impone una drastica revisione del modello produttivo e occupazionale serbo, attuando riforme, tagli e alleggerimento del ruolo dello stato nell’economia, creando le condizioni minime di mercato per far decollare il tessuto produttivo locale. Si tratta, in poche parole, di evitare il default dello Stato serbo attraverso una dura politica di tagli alla spesa pubblica e di riforme economiche. La seconda, vede il compimento di quanti più progressi possibili verso l’obiettivo dell’adesione all’Unione Europea, anche allo scopo di poter accedere a maggiori fondi con cui finanziare opere infrastrutturali che possono dare un rilancio alla competitività del paese. La terza priorità è quella di mantenere una posizione di equidistanza tra USA e Russia, avendo abbandonato la possibilità di avvinare il paese alla NATO e mantenendo il rapporto privilegiato con Mosca sulle questioni energetiche e di sicurezza regionale (con la Russia che continua a sostenere la posizione di non riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo). Quarto, mantenere aperta una politica di disgelo verso Pristina, almeno fin quando tale rapporto continuerà ad essere inserito nella cornice di un’azione diplomatica triangolare tra il servizio esterno dell’Unione Europea, Pristina e Belgrado, che aiuti Belgrado a risolvere gli impedimenti sul cammino della UE.
In sintesi: innovativi tagli alla spesa pubblica, decisa volontà di adesione alla UE, conservazione del rapporto privilegiato con Mosca, mantenimento di rapporti tiepidi con Washington che non prevedono progressi in ambito NATO, miglioramento dei rapporti bilaterali con Pristina senza riconoscimento. Questa appare essere la complessa mappa di riferimento del nuovo esecutivo serbo, i cui primi 6 – 12 mesi di vita saranno tuttavia caratterizzati dagli sforzi sul piano del rilancio economico, pena il fallimento dello stesso stato serbo. Al di là di questo piano economico interno, il contesto regionale ed internazionale potrebbe però rivelarsi più complicato di quanto previsto da Belgrado e sono in molti a chiedersi che effetti potrebbe avere sui delicati equilibri regionali serbi un peggioramento delle relazioni tra Russia, USA ed UE. Un segnale del percorso ad ostacoli con cui dovrà confrontarsi l’esecutivo serbo è emerso con il messaggio di congratulazioni inviato dal premier britannico Cameroon a Vucic. Nella lettera, oltre ai complimenti di rito, vi è un passaggio indicativo in cui viene sottolineata l’aspirazione inglese per cui “è importante che la Serbia si allinei alla più generale azione di politica estera EU. Le azioni russe in Ucraina rappresentano una sfida al diritto internazionale e alla stabilità europea. Spero che la Serbia aderirà quanto prima alla condanna europea delle azioni illegali compiute da Mosca”. Il Vice Premier e neo Ministro degli Esteri Serbo Dacic (SPS) si è affrettato a precisare che “il pieno obbligo della Serbia ad aderire a tutte le decisioni UE” – dunque incluse quelle relative a sanzioni - “scaturirà solo quando la Serbia diventerà membro a pieno titolo dell'UE”; aggiungendo che fino all’ingresso nella UE, la politica estera del paese resterà “indipendente, conforme al traguardo di diventare membro dell’ UE e alle stime dei nostri interessi nazionali e statali identificati in ogni caso singolo”; Dacic non ha perso l’occasione di ricordare che all’inizio dello frattura geopolitica tra Serbia ed una parte dell’Occidente vi è comunque il conflitto del Kosovo: “ci sarebbe stato ad ogni modo più facile (sanzionare il comportamento russo sull’Ucraina) se alcuni paesi avessero condannato i comportamenti illegali del Kosovo nei confronti della Serbia. Due pesi e due misure non è mai stato un buono standard”.
La posizione di Dacic è stata sostenuta, leggermente mitigata, anche dal primo ministro Vucic. Questi ha ribadito l’esistenza di pressioni occidentali sulla Serbia affinché adotti le stesse sanzioni decise dalla UE contro la Russia, ma che ciò non è ancora possibile non essendo la Serbia ancora arrivata ad aprire il capitolo 31, quello relativo all’armonizzazione della politica estera e di sicurezza. Al di là di questo motivo più formale e procedurale, Vucic ha sostenuto che, pur rispettando il principio dell’integrità territoriale dell’Ucraina (la Serbia era però assente dal voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni sull’integrità territoriale dell’Ucraina il 27 marzo 2014) il suo paese deve rispettare i paesi amici che in passato “non hanno adottato sanzioni contro di noi, non ci hanno bombardato e con i quali abbiamo relazioni economiche molto positive”.
In sintesi: innovativi tagli alla spesa pubblica, decisa volontà di adesione alla UE, conservazione del rapporto privilegiato con Mosca, mantenimento di rapporti tiepidi con Washington che non prevedono progressi in ambito NATO, miglioramento dei rapporti bilaterali con Pristina senza riconoscimento. Questa appare essere la complessa mappa di riferimento del nuovo esecutivo serbo, i cui primi 6 – 12 mesi di vita saranno tuttavia caratterizzati dagli sforzi sul piano del rilancio economico, pena il fallimento dello stesso stato serbo. Al di là di questo piano economico interno, il contesto regionale ed internazionale potrebbe però rivelarsi più complicato di quanto previsto da Belgrado e sono in molti a chiedersi che effetti potrebbe avere sui delicati equilibri regionali serbi un peggioramento delle relazioni tra Russia, USA ed UE. Un segnale del percorso ad ostacoli con cui dovrà confrontarsi l’esecutivo serbo è emerso con il messaggio di congratulazioni inviato dal premier britannico Cameroon a Vucic. Nella lettera, oltre ai complimenti di rito, vi è un passaggio indicativo in cui viene sottolineata l’aspirazione inglese per cui “è importante che la Serbia si allinei alla più generale azione di politica estera EU. Le azioni russe in Ucraina rappresentano una sfida al diritto internazionale e alla stabilità europea. Spero che la Serbia aderirà quanto prima alla condanna europea delle azioni illegali compiute da Mosca”. Il Vice Premier e neo Ministro degli Esteri Serbo Dacic (SPS) si è affrettato a precisare che “il pieno obbligo della Serbia ad aderire a tutte le decisioni UE” – dunque incluse quelle relative a sanzioni - “scaturirà solo quando la Serbia diventerà membro a pieno titolo dell'UE”; aggiungendo che fino all’ingresso nella UE, la politica estera del paese resterà “indipendente, conforme al traguardo di diventare membro dell’ UE e alle stime dei nostri interessi nazionali e statali identificati in ogni caso singolo”; Dacic non ha perso l’occasione di ricordare che all’inizio dello frattura geopolitica tra Serbia ed una parte dell’Occidente vi è comunque il conflitto del Kosovo: “ci sarebbe stato ad ogni modo più facile (sanzionare il comportamento russo sull’Ucraina) se alcuni paesi avessero condannato i comportamenti illegali del Kosovo nei confronti della Serbia. Due pesi e due misure non è mai stato un buono standard”.
La posizione di Dacic è stata sostenuta, leggermente mitigata, anche dal primo ministro Vucic. Questi ha ribadito l’esistenza di pressioni occidentali sulla Serbia affinché adotti le stesse sanzioni decise dalla UE contro la Russia, ma che ciò non è ancora possibile non essendo la Serbia ancora arrivata ad aprire il capitolo 31, quello relativo all’armonizzazione della politica estera e di sicurezza. Al di là di questo motivo più formale e procedurale, Vucic ha sostenuto che, pur rispettando il principio dell’integrità territoriale dell’Ucraina (la Serbia era però assente dal voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni sull’integrità territoriale dell’Ucraina il 27 marzo 2014) il suo paese deve rispettare i paesi amici che in passato “non hanno adottato sanzioni contro di noi, non ci hanno bombardato e con i quali abbiamo relazioni economiche molto positive”.