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La partita fluida della sicurezza energetica nel Mediterraneo Orientale   

Fatti:

Energia/Turchia.
Abbandono clausola “Take or Pay” per gas da Azerbaijan ed Iran; accordo con Mosca per aumento della portata di Blue-Stream; esplorazioni oceanografiche nella EEZ cipriota. Il ministro dell’energia e delle risorse naturali della Turchia Taner Yildiz ha annunciato che dal 2015 Ankara abbandonerà – in maniera simile a quanto fatto con la Russia nel 2013 – la clausola “take or pay” nei contratti con l’Azerbaijan e l’Iran. Parallelamente, Ankara ha provveduto a finalizzare un accordo con Mosca che prevede l’aumento dell’espansione della capacità del gasdotto Blue-Stream (la connessione sottomarina che attraversa il Mar Nero dalla stazione di compressione di Beregovaya al terminale di Durusu) con l’obiettivo di aumentare da 16 a 19 miliardi di metri cubi di gas. Infine, la nave oceanografica turca Barbaros Hayreddin Pasa, scortata da una nave da guerra turca e due navi di supporto, ha proseguito le esplorazioni alla ricerca di idrocarburi nel Mediterraneo orientale, in acque in cui Cipro ha dichiarato la propria Zona Economica Esclusiva (EEZ).

Energia/Bulgaria. Il centrodestra vince le elezioni anticipate ma è a rischio alleanze. Le elezioni parlamentari bulgare hanno confermato un quadro altamente frammentato, che hanno tuttavia visto la sconfitta del governo socialista uscente e la vittoria di misura del partito di centro destra GERB di Boyko Borisov, caratterizzato da una posizione meno filo russa rispetto all’esecutivo uscente.

Energia/Italia. Ripensamenti sull’impegno nel progetto South-Stream? Nel mese di ottobre, a sottolineare il  progressivo raffreddamento dell’interesse strategico dell’Italia in alcuni progetti energetici con Mosca, sono trapelate da ambienti ENI alcune valutazioni di merito sulla natura prevalentemente “finanziaria” e non strategica del progetto, di cui l’azienda italiana è il primo partner di Gazprom (“South-Stream è solo un investimento finanziario, di cui ENI è socio di minoranza, e agirà in coerenza con obiettivi di disciplina finanziaria” è stata la dichiarazione ripresa dai principali organi di stampa.

Energia/Cipro. Tensioni tra Cipro e Turchia sulle esplorazioni off-shore nel Mediterraneo Orientale. Aumenta la tensione tra Grecia e Cipro dopo che la nave oceanografica turca Barbaros Hayreddin Pasa ha avviato le proprie prospezioni a Sud dell’isola di Cipro in acque internazionali (34.3 latitudine, 33.6 longitudine) ma che rientrano nella Zona Economica Esclusiva identificata da Nicosia bilateralmente con Tel Aviv.

Analisi:

Contesto regionale e posizione della Turchia. Sempre più complessa e fluida diviene la competizione per la sicurezza energetica nel Mediterraneo Orientale, mano a mano che le crisi ed i conflitti attorno allo spazio Mediterraneo si espandono e polarizzano le alleanze e le potenze regionali. Sullo scacchiere del Mediterraneo orientale, in particolare, si riversano con crescente forza le tensioni provenienti da almeno quattro instabili quadranti geopolitici: quello mediorientale, con i conflitti in Siria ed Iraq e l’avanzata del jihadismo; quello Nord africano, con  le debolezze dei paesi attraversati dalle rivolte delle primavere arabe; quello dell’Europa Sud-Orientale, con le permanenti difficoltà socio-economiche della penisola balcanica e lo stallo del processo di allargamento europeo; quello del Mar Nero, con la strisciante guerra civile ucraina che ha prodotto profonde, ma non insanabili, conseguenze nei rapporti Europa – Russia. La Turchia, geo-politicamente esposta su tutti questi quattro scenari, si trova al centro di questo complesso crocevia di crisi geopolitiche con rilevanti interessi in ciascuno dei quattro citati sistemi sub-regionali, ma con una particolare esposizione verso quello siriano-iracheno, a cause della questione curda. Nelle evoluzioni delle crisi che ruotano attorno alla penisola anatolica si gioca il futuro della Turchia come pivot strategico e come futuro hub energetico verso l’Europa sia per il petrolio che per il gas. Quale che sia il percorso del futuro corridoio meridionale europeo per intercettare le risorse medio-orientali e del Caspio aggirando la Russia, esso potrà difficilmente essere realizzato senza attraversare la Turchia, che diventa pertanto l’ago della bilancia energetica nei rapporti tra EU e Russia. Di fatto, la Turchia è incuneata in posizione intermedia tra il secondo mercato mondiale di consumo del gas e le principali riserve mondiali collocate nel bacino del Caspio, in Medioriente ed in Eurasia. Un ruolo di ponte energetico transcontinentale che è destinato ad aumentare dopo lo scoppio della guerra civile ucraina e l’espansione delle acque territoriali russe nel Mar Nero in seguito all’annessione della Crimea. Tuttavia, ambire a divenire snodo energetico in un crocevia di regioni altamente instabili ed infiammabili ed in cui le politiche energetiche degli stati dell’area perseguono caratteri fortemente nazionalisti e securitari rappresenta uno sforzo che potrebbe rivelarsi superiore alle capacità politico-diplomatiche della stessa Turchia, oltreché una costosa alterazione dei meccanismi del mercato che tende verso una maggiore flessibilità e alla rimozione dei colli di bottiglia geopolitici. Anche come peso di consumatore energetico, la Turchia è ancora debole, con volumi di consumo interno di gas che – ancorché crescenti e trainati da una sostenuta crescita economica ed energetica – restano ancora ai livelli di un paese in via di sviluppo, considerata la sua popolazione di circa 80 milioni di abitanti. Inoltre, prima della crisi economica del 2008 Ankara aveva sovrastimato la sua domanda futura di importazione di gas, che nel quinquennio 2007 – 2013 è aumentata del 30% in meno rispetto al quinquennio precedente (+ 400 miliardi di metri cubi, contro una crescita di oltre 600 miliardi di metri cubi registrata nel periodo 2002 – 2007). Così come molti altri paesi europei, anche la Turchia ha finito per rivedere la clausole contrattuali degli impegni di approvvigionamento di idrocarburi, rinegoziando i propri rapporti con il suo secondo e terzo fornitore. Il gas che arriva in Turchia dall’Azerbaijan (attraverso il gasdotto Baku-Tiblisi-Erurum) è il meno costoso tra le varie linee di approvvigionamento turco, costando il 25% in meno del gas russo e oltre il 45% in meno del gas iraniano. Ovviamente, la componente “prezzo” gioca un ruolo importante all’interno del concetto di sicurezza energetica ma non l’unico, in quanto almeno quattro sono le dimensioni fondamentali in una strategia di sicurezza energetica: quantità, durata, prezzo, compatibilità politica (accettando la definizione di sicurezza energetica come “quella fornitura adeguata in quantità e affidabile nel tempo, a prezzi ragionevoli e che non metta in contraddizione o pericolo i principali valori ed obiettivi nazionali”). Per quel che riguarda la Turchia, tra tutti i possibili fornitori Mosca è l’unico che massimizza tutte e quattro le dimensioni della sicurezza energetica turca, e sarà pertanto destinata a restare il primo fornitore di Ankara coprendo una quota del 58% del fabbisogno turco di gas (l’Iran è il secondo fornitore con il 19% delle importazioni mentre l’Azerbaijan è il terzo con il 9%. Il resto viene prevalentemente dal mercato LNG, con contratti di lungo periodo con Algeria (9%) e Nigeria (3%), mentre la parte mancante è lasciata al mercato spot del LNG, prevalentemente da Qatar, Egitto e Norvegia. I mutamenti geopolitici degli ultimi 3 anni, in particolare i conflitti in Siria ed in Ucraina  hanno parzialmente intaccato la componente della compatibilità politica con Mosca, ma non possono produrre strappi rilevanti nel breve periodo. A meno che questi due conflitti dovessero durare nel tempo ed estendersi, il che produrrebbe la necessità per Ankara di diversificare il rapporto energetico con Mosca. Allo stesso tempo, la generale situazione d’instabilità e di conflitto attorno alla Turchia e l'oggettiva vulnerabilità geopolitica dei suoi confini rappresenta una minaccia per le ambizioni di Ankara di divenire il maggiore hub di trasferimento di gas dall’Asia e dal Medio Oriente verso l’Europa. Va però considerato che, allo stesso tempo, la Turchia appare essere rimasto uno dei pochi paesi stabili in una regione sempre più frantumata, uno dei pochi attori “forti” nello spazio intermedio tra Europa, Russia e Medio Oriente, anche a causa dell’indebolimento/riduzione delle alternative geopolitiche nella regione. Questa posizione di dualità energetica verso l’Europa e verso la Russia è parzialmente messa in crisi dal nuovo asse energetico che si va creando nel Mediterraneo orientale tra due paesi europei, (Cipro e Grecia) ed Israele, mirante proprio, aggirando la Turchia, ad offrire un’alternativa marittima al corridoio meridionale terrestre. Ciò è ovviamente il frutto dell’insabbiarsi della politica turca nelle strategie neo-ottomane (fallimenti delle primavere arabe ed i conflitti in Siria ed Iraq) e del profondo deterioramento negli ultimi anni del rapporto con Israele che – nonostante alcuni accenni di disgelo – stenta a recuperare. Anche in questo caso, l’elemento energetico sarà determinante. Nei prossimi due o tre anni Israele e Cipro dovranno decidere e progettare le modalità e le rotte di esportazione verso l’Europa di parte del gas scoperto nei giacimenti delle rispettive zone economiche esclusive (il più importante dei quali è quello israeliano “Leviatano”, che conterrebbe 450 miliardi di metri cubi di gas). L’ipotesi meno costosa sarebbe ovviamente quella di esportarlo verso la Turchia e farne uno dei rami di approvvigionamento del corridoio meridionale terrestre, ma attualmente sembra un’ipotesi politicamente non percorribile, necessitando di un doppio miglioramento nelle relazioni strategiche tra Turchia ed Israele e tra Turchia e Cipro, che sembra lontano da venire. L’ipotesi concorrente prevede la costruzione di uno o più terminali LNG di liquefazione del gas offshore congiunti tra Israele e Cipro, o addirittura la costruzione di una costosa pipeline sottomarina Cipro – Creta che porti il gas verso la UE. È chiaro che tutti gli attori che assieme alla Turchia giocano la partita energetica nella regione si muovono all’interno di una più ampia partita strategica in cui il gas ed il petrolio sono strumentali al conseguimento di obiettivi geopolitici di lungo periodo, privilegiando l’approccio strategico a quello di mercato. Per il momento Ankara cerca di “tenere i piedi in tutte le scarpe” ma la sensazione è che presto alcune delle scelte confliggenti di politica estera potrebbero venire a cozzare con la volontà di diventare un hub energetico regionale. La domanda chiave è capire se i conflitti ucraino e siriano – di cui Mosca è in entrambe attore principale – sono compatibili nel lungo periodo con il mantenimento di una politica energetica multivettoriale o se essi spingeranno verso alcune scelte di campo tra differenti opzioni geopolitiche.

Il frammentato contesto politico post elettorale bulgaro. Le elezioni bulgare non contribuiscono a produrre chiarezza sull’importante questione dei rapporti energetici internazionali ed in particolare nella grave crisi che si è creata tra gli obblighi normativi europei, le sanzioni americane ed il progetto di fare della Bulgaria il primo anello europeo del gasdotto South Stream. Proprio una crisi di tali rapporti aveva avuto un ruolo determinante nella caduta del precedente governo socialista. Il partito di centro destra GERB ha ottenuto il 33% dei voti ma la frammentazione politica, con otto partiti entrati in parlamento, verosimilmente costringerà il leader Borisov a formare un esecutivo di minoranza probabilmente assieme al blocco di centro destra RB (8,9%) e con il supporto esterno del blocco nazionalista del Fronte Patriottico (7,3%). Difficilmente tale precaria situazione politica – che potrebbe portare nuovamente ad elezioni anticipate a breve – potrà esprimersi in scelte strategiche di lungo periodo per quel che riguarda la politica energetica che resterà debole, non effettuerà scelte di campo nel rapporto energetico con Mosca e si atterrà una linea di neutralità sul conflitto ucraino. Sarà un esecutivo di basso profilo concentrato sui gravi problemi socio economici interni (la Bulgaria è il paese più povero d’Europa) e lascerà a Bruxelles determinare il tono del proprio rapporto con Mosca.    

L’Italia prende tempo su South-Stream. Il governo italiano e l’ENI stanno sempre più prendendo atto che la crisi con Mosca rischia di essere più profonda e di più lungo periodo del previsto e – proseguendo un percorso già avviato dal presidente uscente Scaroni – appare rafforzarsi la sensazione che sarà difficile continuare con Mosca il rapporto “business as usual” in campo energetico, in particolare per quel che riguarda South-Stream. O meglio, tale rapporto andrà riconfigurato nell’evoluto scenario internazionale, che vede l’Italia incapace di determinare o condizionare la linea di condotta europea verso la Russia. Anche la nomina del ministro Mogherini come capo della diplomazia europea finirà per rendere maggiormente neutrale la posizione italiana sul dossier russo, dovendosi fare carico anche delle posizioni di quei paesi che chiedono un rapporto più muscolare verso Mosca. La Russia ha chiaro che l’Italia non ha la forza di sbloccare lo stallo di South-Stream, un progetto che Mosca ha perseguito con forte determinazione anche ben oltre le convenienze commerciali ed i ritorni di politica energetica, ma l’ENI resta per il momento il primo partner di Gazprom nel progetto (con il 20% di quota parte nel progetto).  Tuttavia, le recenti dichiarazioni fatte filtrare da ENI sulla natura finanziaria e non strategica di South-Stream (“South-Stream è solo un investimento finanziario, di cui ENI è socio di minoranza, e agirà in coerenza con obiettivi di disciplina finanziaria” ha riportato la stampa italiana) confermano il mutamento nei rapporti tra Italia e Russia, o meglio l’incapacità dell’Italia di mantenere uno stretto rapporto energetico con Mosca nel momento in cui si deteriorano le relazioni tra Europa e Russia. Al di là del problema politico, resta quello del reperimento dei finanziamenti, in funzione dei dubbi delle banche se la costruzione di South-Stream rientri o meno negli ambiti colpiti dalle sanzioni finanziarie. Al fine di chiarire la situazione, la raccolta dei finanziamenti per la costruzione del tratto sottomarino di South-Stream è stata rinviata alla primavera del 2015 e produrrà verosimilmente uno slittamento dei lavori. L’Italia ed ENI hanno dunque sei mesi di tempo per riposizionare la propria collocazione nel progetto ed aggiornare la propria strategia di sicurezza energetica. È chiaro che il rischio politico finisce per aumentare il costo dei finanziamenti del progetto e dunque incide sui rendimenti previsti. Se dovesse essere confermata la natura prettamente finanziaria e non strategica del progetto, l’ENI potrebbe a quel punto rivedere le proprie scelte e ciò anche in funzione delle future decisioni sulla vendita di SAIPEM – incaricata dei lavori di South-Stream nel tratto off-shore nel Mar Nero e principale beneficiaria del progetto – controllata che la stessa azienda madre ha definito, prima dell’estate, “un business non strategico”.         

Le tensioni turco – cipriote nel Mediterraneo orientale. Con l’avvio delle esplorazioni oceanografiche al largo delle coste cipriote, la Turchia manda un forte messaggio di protesta in vista del summit trilaterale dei capi di stato di Egitto, Cipro e Grecia che si terrà l’otto novembre al Cairo e che avrà come oggetto principale la collaborazione energetica tra i tre paesi nel Mediterraneo orientale. La Turchia oltre a non aver firmato UNCLOS, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare che prevede le modalità di costituzione delle zone economiche esclusive, non riconosce il governo greco cipriota di Nicosia e non ha relazioni diplomatiche con l’Egitto dopo la caduta del governo Morsi. Ankara, ritiene pertanto di poter procedere unilateralmente nelle proprie esplorazioni e – a questo proposito – ha costituito un accordo bilaterale con il (non internazionalmente riconosciuto) governo turco di Cipro del Nord per l’istituzione di una propria zona economica esclusiva. Il governo cipriota, da parte sua, ha firmato negli scorsi anni accordi bilaterali di delimitazione delle zone economiche esclusive con Egitto e Israele, gettando le basi per l’avvio delle esplorazioni dell’area alla ricerca di idrocarburi. Tra Turchia e Grecia, inoltre, esiste un contenzioso sull’eventuale delimitazione della zona economica esclusiva, che secondo Atene arriverebbe a congiungersi con la EEZ cipriota. Questo aumento della tensione in questo particolare momento rappresenta una conferma della complessità e fluidità del quadro geopolitico ed energetico della regione del Mediterraneo orientale, che rimane saldata agli scenari di crisi in atto nel Medio-oriente e nel Mar Nero.  

Paolo Quercia
25 ottobre 2014

 

 

 

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