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analisi
GLI ATTENTATI TERRORISTICI DI NAIROBI E LE TRASFORMAZIONI DELLA GALASSIA al-SHABAAB
14 ottobre 2013
Rubrica Corno d'Africa - Agenzia Nova

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Due settimane dopo gli attentati di Nairobi, costati decine morti in un centro commerciale della capitale del Kenya, ancora non ci sono dati certi né sul numero degli attentatori, né sulla loro nazionalità, né sulla loro esatta affiliazione. Appare tuttavia chiaro, dalle indiscrezioni filtrate, dalle rivendicazioni più o meno attendibili pervenute sui social media, nonché da alcune testimonianze dirette, che la matrice politico-terroristica vada identificata o nella struttura stessa degli Shabaab somali o quanto meno nella galassia di movimenti estremisti filo-qaedisti del Corno d’Africa che nell’esperienza degli al-Shabaab vedono un modello religioso-militare di successo a cui ispirarsi. L’operazione, condotta da un gruppo armato composto probabilmente tra le 8 e le 16 persone, era stata pianificata da circa un anno, arrivando, secondo alcune fonti, addirittura ad affittare nel centro commerciale un negozio da poter utilizzare come deposito di armi e base logistica da cui condurre le operazioni una volta avviato l’attacco.

Se tale notizia fosse confermata, i fallimenti della sicurezza keniota non sarebbero solo limitati alla gestione dell’emergenza dell’assedio, caratterizzata da conflitti di competenze tra le diverse forze di sicurezza e poco professionale nella reazione, tanto da dover ricorrere ad esperti stranieri, ma lascerebbero individuare anche serie falle nella rete di intelligence ed in generale in tutte le attività di prevenzione e di salvaguardia della sicurezza interna. Che un gruppo di terroristi organizzativamente e socialmente radicato in Somalia, riesca non solo a penetrare militarmente ma anche ad inserirsi commercialmente, nel più grande e moderno centro commerciale della capitale finanziaria dell’Africa Occidentale è un dato altamente preoccupante. Cosi com’è preoccupante il fatto che per la prima volta esso si sia cimentato in un’operazione d’assalto ad un obiettivo civile con la gestione militare di un assedio, seguendo una tattica che è più vicina all’assalto di Beslan, verificatosi nel 2004 nell’Ossezia del Nord, che alle passate incursioni in territorio keniota registratesi negli ultimi anni.

La forma di terrorismo impiegata a Nairobi è sostanzialmente diversa, sia nei mezzi che nei fini, dagli attentati tradizionali degli Shabaab, sia quelli da quelli con cui continuano a martoriare Mogadiscio, sia dai numerosi assalti più o meno rudimentali avvenuti in Kenya (nelle province settentrionali, a Mombasa e a Nairobi, a Dadaab) negli ultimi due anni. In linea teorica, ciò potrebbe essere spiegato in due modi: o che Al-Shabaab ha compiuto, nel momento in cui soccombeva militarmente ed era attraversata da faide interne che ne hanno ridisegnato la composizione, un notevole salto di qualità, passando dall’essere una forza paramilitare operante all’interno di una guerra civile in uno stato fallito, alla pianificazione e realizzazione all’estero di assalti complessi, con la gestione e l’impiego massiccio di ostaggi.

Oppure, che quello che in realtà appare essere come il “marchio” al-Shabaab somalocentrico, sta perdendo sempre più le sue caratteristiche somale (territorio, supporto clanico, controllo della popolazione e delle risorse economiche) lasciando maggiore spazio a nuovi e vecchi movimenti jihadisti regionali, o subendone la competizione. A mano a mano che in Somalia si ristrutturano le capacità statuali, si creano nuove amministrazioni territoriali e cresce la volontà e le capacità delle amministrazioni locali e centrali di contrastare la presenza degli Shabaab, il suo territorio inizia a diventare sempre meno vantaggioso per un movimento terrorista, in quanto gli elevati costi operativi tipici di uno stato in disgregazione non sono più bilanciati come un tempo dalle rendite territoriali che derivavano dalla gestione di strutture para-statali di spoliazione delle risorse umane ed economiche del paese.

Lo sviluppo delle indagini sull’attentato terroristico al Westgate di Nairobi e le risultanze della commissione parlamentare d’inchiesta dovrebbero fornire nelle prossime settimane anche alcune indicazioni sullo stato del processo di trasformazione e di ristrutturazione delle reti jiahdiste nel Corno d’Africa, dando indicazioni su quali mutamenti possono essere avvenuti negli ultimi due anni. Probabilmente, la matrice dell’attentato di Nairobi non è unica, e la struttura responsabile potrebbe avere più teste ed arti. La sensazione da verificare è se esso rappresenti, oltre ad un nuovo tipo di operatività della “galassia Shabaab”, anche una nuova fase della lotta sotterranea tra il governo keniota ed i propri movimenti jihadisti interni. Movimenti che probabilmente si stanno riorganizzando dopo le azioni di repressione avviate contro di loro nel 2012 e che hanno visto, oltre alle ordinarie attività di polizia e d’intelligence, anche l’avvio di una “guerra sporca” caratterizzata da numerosi omicidi extragiudiziali contro figure di spicco della galassia islamista radicale e jihadista. Di queste, la più famosa e controversa è stata l’eliminazione nel 2012 dell’esponente religioso islamista radicale Sheikh Aboud Rogo Mohamed.

La tesi da verificare è se questa lotta interna in Kenya tra lo stato e gli ambienti jihadisti radicali, una lotta accentuatasi dopo l’impegno politico e militare di Nairobi in Somalia, possa essere direttamente collegata con la pianificazione dell’attentato al centro commerciale Westgate. In secondo luogo, si rafforza il dubbio che bisogna iniziare a leggere quello che ancora definiamo come il fenomeno somalo degli al-Shabaab, più come una nuova dimensione transnazionale del mondo jihadista nell’Africa Orientale sempre meno somalicentrica, e di cui la componente somala potrebbe rappresentare una parte strategicamente decrescente. Potremmo presto trovarci in una situazione in cui il livello Shabaab somalo si sovrappone, interfaccia, confonde o confligge con quello di numerose altre formazioni qaediste presenti ed attive nei paesi della regione ed in particolare in Kenya.

Insomma, c’è da chiedersi se la “somalizzazione e shababizzazione” di al Qaeda nel Corno d’Africa potrebbe essere un fenomeno in via di riduzione per lasciare il posto a nuove dimensioni del terrorismo jihadista in Africa Orientale. Vi sono elementi che lasciano pensare che stiamo assistendo a una destrutturazione e riconfigurazione del modello terroristico degli Shabaab: stiamo assistendo alla nascita di una nuova forma di jihadismo post-Shabaab nell’Africa Orientale? E’ una domanda alla quale solo il tempo potrà rispondere. (Paolo Quercia)

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