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Convegno sulla Somalia a Villa Volkonski

Farnesina, 21 novembre 2018
Il comprensibile grido di allarme del SINDMAE

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Si riporta un articolo firmato dal Presidente del SINDMAE con cui il sindacato dei diplomatici lancia un ennesimo grido d'allarme per lo stato delle risorse economiche dedicate alla politica estera italiana. Il ragionamento è chiaro ed i numeri impietosi sono riassunti nell'articolo di De Luigi. Il discorso va a mio avviso allargato all'intera azione dell'Italia nel mondo, di cui la Farnesina dovrebbe essere la guida politico/strategica. Purtroppo nel ventennio più burrascoso per le relazioni internazionali dell'Italia abbiamo assistito ad un costante rattrippimento della visione strategica del Paese, seguito da un overstreching ed usura dei nostri strumenti internazionali, spesso usati in maniera dissonante tra loro, e poi ad un sempre più preoccupante disinvestimento in essi. Il discorso va dunque allargato ad altri settori con cui un Paese della nostra storia e ampiezza promuove e afferma il proprio ruolo nel mondo, la propria sicurezza, i propri interessi nazionali, la propria lingua e cultura, supporta le proprie imprese. In questo è bene ricordare che l’azione internazionale di un Paese è un atto unitario, cosi come dovrebbe esserlo la sua grand strategy, da declinare poi nei singoli strumenti. Assistiamo invece da due decenni ad un declino strategico frutto di errori politici e culturali, a volte aggravati da chiusure delle tecnostrutture agli interessi nazionali in funzione di propri interessi particolari. Da questo declino a "monte" di un Paese che non conosce più i perchè profondi della sua prensenza nel mondo, non poteva non seguire un declino, materiale e morale, degli strumenti. In questo processo gli esteri, il ministero politico per eccellenza dell’azione internazionale, hanno pagato un prezzo altissimo all’involuzione funzionalista delle nostre relazioni internazionali. PQ   

POCHE RISORSE PER LE AMBASCIATE NEL MONDO

di FRANCESCO SAVERIO DE LUIGI PRESIDENTE DEL SNDMAE*

“Gazzetta del Mezzogiorno” - 21 novembre 2018

Anche all'indomani della Conferenza di Palermo sulla Libia si è aperto sui media un dibattito avente come oggetto la politica estera italiana e le modalità di perseguimento dell'interesse nazionale.
Non compete certamente al Sindacato rappresentativo della carriera diplomatica indicare quali potrebbero essere le migliori strategie per perseguire l'interesse nazionale in questo o quello scenario, ma al Sindacato spetta però porre in rilievo le lacune strutturali che oggi condizionano le possibilità di intervento della diplomazia italiana sugli scenari internazionali, con i connessi servizi alle imprese e agli italiani all'estero. Sussiste irrisolto da circa 20 anni un problema di risorse che si aggrava purtroppo sempre più e che si riverbera automaticamente sull'estero e in Italia, a fronte di impegni crescenti e superiori a quelli dei nostri concorrenti.
Nel 1998 i nostri connazionali residenti all'estero erano 3,6 milioni, oggi sono 5,6 milioni, il bilancio della Farnesina era pari allo 0,28 % della spesa pubblica vent'anni orsono, oggi è dello 0,09 %. A titolo di confronto, i francesi residenti all'estero sono 1.8 milioni e il personale della Farnesina è una frazione rispetto a quello a disposizione del Ministero degli Esteri francese.
Analoga situazione si ha per le imprese: una voce fondamentale della nostra economia é rappresentata dalle esportazioni, circa il 30% del PIL. Unioncamere-Veneto e il Cgia-Mestre hanno evidenziato in un apposito studio il ruolo strategico della rete diplomatico-consolare in ragione delle peculiarità del nostro tessuto produttivo: il rafforzamento del supporto istituzionale italiano nei vari mercati è una priorità per favorire la crescita delle PMI italiane e per lo sviluppo stesso dell'economia delle regioni del Mezzogiorno. Nel complesso, il "moltiplicatore" delle spese destinate alla Farnesina è superiore a 20 volte, in termini di crescita del PIL per ogni euro investito. In genere disponiamo, pur avendo molti più compiti, di organici paragonabili a quelli presenti nella rete diplomatico-consolare olandese, quando va bene. Quest'ultima sarà tuttavia oggetto di un programma di forti incrementi di bilancio, di ampliamenti di organici e di apertura di nuove sedi, come preannunciato l'8 ottobre scorso dal Ministro degli Esteri olandese al Parlamento dell'Aja. La competitività di un Paese dipende molto anche dalle infrastrutture di servizi all'estero. Gli "altri" lo sanno.
Presso la nostra Rappresentanza all'UE, di gran lunga la più importante sede italiana all'estero e che segue tutte le tematiche Comunitarie, tra cui quella importantissima per il Mezzogiorno dei fondi strutturali, lavora meno della metà delle persone che nella Rappresentanza spagnola e i confronti con i nostri concorrenti sono impietosi in tutto il mondo. Il 25% delle nostre Ambasciate all'estero ha oggi in organico un solo funzionario diplomatico. Sono numeri che imporrebbero, con urgenza, adeguati provvedimenti anche in termini di assunzioni. Destinare solo 0,09% della spesa pubblica alla nostra presenza nel mondo significa voler essere "fuori dal mondo", occorrendo più risorse rispetto a quelle a disposizione vent'anni orsono, essendo nel frattempo aumentati, in un quadro geopolitico sempre più articolato e complesso, sia i residenti esteri, sia il ruolo delle esportazioni per la nostra economia.

* Sindacato nazionale dei dipendenti del Ministero Affari degli Estericare.


intervista
Conferenza di Palermo sulla Libia

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L’Italia può considerarsi soddisfatta: una stretta di mano tra Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, e Fayez al Serraj, capo del governo di accordo nazionale insediato dall’Onu a Tripoli, politicamente assai diversa dallo scatto-fotocopia del 25 luglio scorso all’Eliseo. Il perché lo spiega al Sussidiario Paolo Quercia, analista di politica estera e direttore del Cenass. “Eravamo fuori dai giochi ed abbiamo ripreso la scena. Ora ci è chiaro che il nostro interesse nazionale va perseguito da soli”. Non ci dovrebbero spallate di Haftar contro Serraj; se così sarà, dice Quercia, il merito sarà in parte anche italiano.



Leggi intervista su Il Sussidiario.net

intervista
CAOS LIBIA/ Così gli errori dell’Italia aiutano le mire di Macron

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Ieri sera le milizie libiche hanno raggiunto un accordo al tavolo convocato dall’Onu. Un risultato visto con favore dal governo italiano, che conferma di lavorare ad una conferenza internazionale sulla Libia prevista a novembre. “La situazione del Paese è molto confusa, la Libia sembra ormai dirigersi verso uno scenario alla somala — osserva Paolo Quercia, analista di politica estera, direttore del Cenass —. C’è da dire però che l’Italia finora non ha messo in campo tutte le risorse economiche e politiche di cui dispone e questo è il nostro principale errore”.


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articolo
La fuga di Erdogan dall'Occidente

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analisi
Il vettore orientale della politica estera italiana

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Spesso si parla molto e superficialmente del rapporto tra Italia e Russia e dell'opportunità   per l'Italia di investire in una asse strategico con Mosca, per sopperire alla assenza di una geopolitica americana, ridottasi nelle ambizioni e secondo alcuni non più in linea con gli interessi nazionali italiani, ne con le sfide della stabilità regionali. Il tema è complesso e merita approfondimento, ma prima di affrontarlo esso andrebbe inquadrato nelle più ampie questioni della complessa multivettorialità della politica estera italiana e della rilevanza del suo vettore Orientale, all'interno del quale va inserito il rapporto con Mosca, con non vive di sola forza propria. Questo mio articolo per il volume "Le nuove reti euro-asiatiche" dell'associazione Il Nodo di Gordio realizzato con un contributo del Ministero degli Affari Esteri, affronta il tema dell'azione di politica estera dell'Italia verso il Levante, delle due vie euroasiatiche tra cui deve scegliere l'Italia (via Mosca o via Ankara) del significato del concetto di Eurasia per noi e, infine, del rapporto che l'iItalia può costruire con  la Russia.      


La questione del vettore orientale dell’azione internazionale dell’Italia va letto nel suo contesto, ossia quello del dilemma dalla complessità inespressa della politica estera italiana.
 Sarebbe poco verosimile che un paese complesso e diversificato come l’Italia, sede della più importante religione monoteista del pianeta, ricco di numerosi punti di forza ma anche di sconcertanti debolezze, caratterizzato da sorprendenti contrasti, plasmato da una profondità storica unica ed irripetibile e dalla natura posto a spartiacque geopolitico di un mare su cui insistono i tre continenti più importanti della storia della civiltà, possa esprimere una politica estera monotòna ed unidirezionale.

continua


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Quali sono e cosa sono le guerre oggi? Come è evoluta la conflittualità nell'ultimo ventennio? Quale il peso delle varie regioni del globo e quali interessi sono in gioco, per l'Europa e l'Italia nei principali conflitti in africa sub shariana e medio oriente? Quali di esse costituiscono una minaccia alla sicurezza nazionale? Come può l'Europa aumentare la propria efficacia nello sviluppo di capacità di conflct resolution e proiezione della forza? Come può l'Occidente mantenere compattezza politica e una comune visione della propria strategia di sicurezza di fronte ad un parcellizzarsi e regionalizzarsi delle crisi ed a fronte di una riduzione dei loro effetti sistemici? Quali rapporti tra i conflitti regionali,  flussi globali, e sicurezza internazionale? 

Questi ed altri spunti ho sviluppato nella tavola rotonda organizzata dalle associazione di studenti della Luiss assieme ad altri esperti di conflitti e sicurezza.

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Camera dei Deputati,
9 dicembre 2014
Sala del Cenacolo
Presentazione della rivista War Games e dibattito sul libro bianco della Difesa
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Negli ultimi venti anni l'Italia ha visto un timidissimo accenno di dibattito sul tema dell'identificazione e qualificazione dei propri interessi nazionali, passaggio teorico-politico fondativo  per la rifondazione della politica estera italiana. Al tempo stesso, con l'aumentare della crisi del progetto di integrazione europeo, l'affievolirsi del legame geopolitico atlantico e la crisi dei modelli sociali e statuali nella sponda Sud ed Orientale del Mediterraneo, la ridefinzione di una politica estera e di sicurezza nazionale è divenuta una vera e propria emergenza. Eppure, l'emersione di una nuova visione per la politica estera e di sicurezza italiana tarda ad emergere, anche in un momento così critico per il paese, così denso di sfide geopolitiche tutt'attorno ai nostri confini. Tra i tanti motivi del declino della postura italiana nelle relazioni internazionali, uno di essi è rappresentato dal falso mito della necessità di adottare una politica estera condivisa, sganciata dal dibattito politico nazionale e frutto di un compromesso bipatisan al ribasso fatto di un misto di ideologia, idealismo, disimpegno, ignoranza, disinteresse. Un misto di provincialismo e cosmopolitismo, entrambi buoni precursori di una politica di delega rinunciataria di ogni sovranità e di rimando delle decisioni strategiche ad alleati, partner e istituzioni sovrnazionali.  Il mancato dibattito interno sul futuro della politica estera e di sicurezza italiana e la sua sostituzione con una visione tecnocratica e post-sovrana delle relazioni internazionali rappresenta un pericoloso elemento di rimpiazzo degli interessi generali con interessi particolari e degli interessi nazionali con interessi stranieri. Ciascun paese che è rilevante e libero ha diritto di sviluppare ed elaborare  più opzioni per la propria politica estera.    

Politica estera bipartisan
e interessi nazionali


Idealismo, realismo
realpolitik e diritti dell'uomo.

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La politica estera degli Stati non è solo un confronto tra le due scuole del realismo e dell'idealismo. Dove il realismo vede un mondo di Stati sovrani sospesi in un difficile equilibrio attraverso la contrapposizione di forza e di potere, l'idealismo vede l'esportazione della democrazia come presupposto per la stabilità del sistema mondo. Ma in pratica, idealismo e realismo non possono esistere come visioni assolute, e numerose sono le contaminazioni tra i due approcci. Il realilsmo etico riconosce il valore dei diritti umani, e da il giusto peso e bilanciamento a questa dimensione delle relazioni internazionali


Sicurezza e libertà nella dottrina Regan

Una delle caratteristica della politica estera del presidente americano Regan era rappresentata dall'incontro delle due idee portanti di sicurezza e di libertà. Nei rapporti con l'Unione delle Repubbliche Socialiste Soviestiche  abbandonò il realismo del contenimento, lascio spazio all'etica e all'ideologia nella elaborazione di una nuova politica estera statunitense. Inseguendo l'obbligo strategico e morale della sconfitta del comunismo sovietico cercò il riscatto per gli USA dopo la sconfitta del Vietnam. Quali insegnamenti dedurre oggi da tale esperienza politica? E' essa il frutto esclusivo di una stagione particolare della guerra fredda, o contiene modelli utili in altri contesti geopolitici? Quanto essa è applicabile al di fuori del contesto americano e quanto può essere replicabile anche nel contesto politico internazionale europeo? 
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Le Ragioni di Stati e Nazioni e la Babele cosmopolita
1/04/2010

Lettera a Giuliano Amato. 

Caro professore, ho letto con interesse la sua intervista dal titolo “Babele e la cittadinanza cosmopolita” comparsa sul primo numero del mensile “l'interprete nazionale”. Nell’articolo Lei affronta con la lucidità che le è propria uno dei problemi cruciali dell’odierna società internazionale, ossia il processo di destrutturazione del sistema tradizionale westfaliano basato su Stati sovrani e nazionalità indipendenti. Correttamente lei descrive le attuali difficoltà e le contraddizioni di questo processo di transizione verso un mondo basato sulla cittadinanza cosmopolita ed illustra le opportunità per l’Europa di costituire l’avanguardia di un modello sociale che definisce “la Babele opportunità”. Pur condividendo una parte della sua analisi, dissento però su un punto fondamentale: incoraggiare oggi quel processo a cui Lei accenna di disfacemento e dissoluzione dei concetti di Stato e di Nazione sarebbe per l’Europa, e per la nostra Italia, un grave errore strategico, soprattutto in questa fase storica in cui assistiamo all’emergere di nuove potenze globali (come Brasile, Cina, India) e al ritorno sulla scena di antiche potenze regionali (come Russia e Turchia). Paesi estremamente diversi tra loro ma che sono accomunati proprio dal fatto di aver scelto una via statuale e nazionale alla globalizzazione, catturando a beneficio dei propri sistemi paese i dividendi di potenza creati dalla interazione globale tra le società occidentali ed il resto del mondo. continua


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Mio articolo per ActionAid sulla necessità di un'evoluzione della concezione degli aiuti pubblici allo sviluppo nel contesto attuale ed in particolare dopo i campiamenti portati nelle relazioni economiche internazionali dalla globalizzazione e dalla crisi economica del 2008

Dalla Cooperazione
allo sviluppo

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Venti anni dopo l'abbattimento del Muro di Berlino, l'Europa ha perso il senso della libertà che si viveva in Europa Occidentale al tempo della guerra fredda. Cosa ha rappresentato per l'Europa il confine che ha diviso Berlino e la Germania in due parti e cosa rimane di quell'insopprimibile voglia di libertà che ha portato anche i soldati della DDR a saltare il muro per fuggire.
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Presentazione scenari strategici 2015 CeMISS, Giovedi 19 Febbraio, Centro Alti Studi Difesa, Roma 


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