Somalia, i pericoli del dopo Londra

Numerosi sono i fattori che continuano ad indicare nella Somalia il cuore dei processi politici che stanno attraversando l’area del Corno d’Africa e che possono originare sia un nuovo processo condiviso di stabilità regionale che nuove perturbazioni per la sicurezza dell’area. Nonostante la regione non sia stata affatto priva di significativi sviluppi, nel primo quadrimestre del 2013 (dalle elezioni presidenziali in Kenya, alla costruzione di un modus vivendi tra Sudan e Sud Sudan, agli enigmatici sussulti interni registrati in Eritrea), il dossier somalo continua a tenere banco nel dettare l’agenda politico-strategica regionale. Ciò è apparso chiaro anche nel 47mo vertice straordinario del Consiglio dei ministri dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), che all’evoluzione della situazione politica e di sicurezza in Somalia ha riservato uno dei principali dossier nell’agenda del vertice.
La Somalia è entrata con rilevanza nell’agenda internazionale nel primo quadrimestre del 2013, in un momento in cui, avvicinandosi la Conferenza di Londra sulla Somalia, si andava preparando un nuovo quadro politico favorevole. Un quadro in buona parte determinato dall’azione di paesi esterni che è volto a cercare la – almeno temporanea – soluzione dei principali problemi che impediscono ai “frammenti statuali” somali di riprendere la via della costruzione di una nuova statalità. Un nuovo stato che possa re-inserirsi, costruttivamente e senza sorprese, negli equilibri politici regionali, ancora tendenti all’instabilità, ma in cui si evidenziano spazi di manovra per la costruzione di nuovi equilibri. Ed in tale gioco la pedina somala riveste tanto il ruolo di un teatro su cui testare cooperazioni integrate dell’Unione europea, l’Unione africana e le Nazioni Unite di cui possa beneficiare l’intera regione, quanto un insidioso percorso irto di ostacoli che possono perpetuare ed accentuare le crisi regionali.
I segnali positivi provenienti della Somalia non sono mancati: l’avvio di un nuovo governo con un forte credito internazionale, la parziale rimozione dell’embargo sulle armi, i primi timidi segnali di mediazione tra le entità secessioniste ed autonomiste del Nord (Somaliland e Puntland), la virtuale scomparsa della pirateria nel Golfo di Aden, la cacciata degli Shabaab dalle principali città del centro-sud del paese sono tutti fattori che hanno riacceso il gioco geopolitico dello “state building” in Somalia, attivando una inattesa fase politica che negli ultimi anni era rimasta sepolta dalle dominanti questioni di sicurezza. Per questo motivo, anche dopo la Conferenza di Londra, la Somalia continua ad essere il nuovo catalizzatore dei principali sviluppi politici e di sicurezza per la regione del Corno d’Africa.
Nella complessa partita della ricostruzione della società e dello stato somalo, la principale questione che in queste settimane sta accumulando le tensioni provenienti da tutte le latitudini del paese è quella dell’Oltre Giuba. L’adozione di una carta costituente della nuova entità territoriale e l’insediamento a Chisimaio di un presidente del Jubaland nella figura di Adan Mohamed Nuur Madobe, scelto seguendo un metodo – quello dell’approvazione da parte degli anziani e dei maggiorenti dei clan locali – che viene rifiutato da Mogadiscio, ha attivato la temuta questione del tipo di federalismo verso cui sta andando la Somalia. Il sostegno dato dal Kenya a questa nuova dimensione meridionale del frazionamento della Somalia modifica progressivamente il ruolo di Nairobi nello scenario somalo, anche alla luce del possibile aumento del suo peso specifico qualora l’annunciata riduzione delle forze militari etiopi avrà effettivamente luogo.
La questione del Jubaland – al cui interno si è sviluppata la sotto-questione del Gedo, i cui rappresentanti dei clan hanno provveduto ad eleggere un presidente antagonista a quello insediato a Chisimaio – è il primo scoglio su cui si testeranno le ambizioni di coloro che, in Somalia e all’estero, sono intenzionati ad avviare un processo di ricostruzione di uno Stato unitario e centralizzato. pq
21 maggio 2013
Pubblicato su Agenzia Nova
© Paolo Quercia e Agenzia Nova
La Somalia è entrata con rilevanza nell’agenda internazionale nel primo quadrimestre del 2013, in un momento in cui, avvicinandosi la Conferenza di Londra sulla Somalia, si andava preparando un nuovo quadro politico favorevole. Un quadro in buona parte determinato dall’azione di paesi esterni che è volto a cercare la – almeno temporanea – soluzione dei principali problemi che impediscono ai “frammenti statuali” somali di riprendere la via della costruzione di una nuova statalità. Un nuovo stato che possa re-inserirsi, costruttivamente e senza sorprese, negli equilibri politici regionali, ancora tendenti all’instabilità, ma in cui si evidenziano spazi di manovra per la costruzione di nuovi equilibri. Ed in tale gioco la pedina somala riveste tanto il ruolo di un teatro su cui testare cooperazioni integrate dell’Unione europea, l’Unione africana e le Nazioni Unite di cui possa beneficiare l’intera regione, quanto un insidioso percorso irto di ostacoli che possono perpetuare ed accentuare le crisi regionali.
I segnali positivi provenienti della Somalia non sono mancati: l’avvio di un nuovo governo con un forte credito internazionale, la parziale rimozione dell’embargo sulle armi, i primi timidi segnali di mediazione tra le entità secessioniste ed autonomiste del Nord (Somaliland e Puntland), la virtuale scomparsa della pirateria nel Golfo di Aden, la cacciata degli Shabaab dalle principali città del centro-sud del paese sono tutti fattori che hanno riacceso il gioco geopolitico dello “state building” in Somalia, attivando una inattesa fase politica che negli ultimi anni era rimasta sepolta dalle dominanti questioni di sicurezza. Per questo motivo, anche dopo la Conferenza di Londra, la Somalia continua ad essere il nuovo catalizzatore dei principali sviluppi politici e di sicurezza per la regione del Corno d’Africa.
Nella complessa partita della ricostruzione della società e dello stato somalo, la principale questione che in queste settimane sta accumulando le tensioni provenienti da tutte le latitudini del paese è quella dell’Oltre Giuba. L’adozione di una carta costituente della nuova entità territoriale e l’insediamento a Chisimaio di un presidente del Jubaland nella figura di Adan Mohamed Nuur Madobe, scelto seguendo un metodo – quello dell’approvazione da parte degli anziani e dei maggiorenti dei clan locali – che viene rifiutato da Mogadiscio, ha attivato la temuta questione del tipo di federalismo verso cui sta andando la Somalia. Il sostegno dato dal Kenya a questa nuova dimensione meridionale del frazionamento della Somalia modifica progressivamente il ruolo di Nairobi nello scenario somalo, anche alla luce del possibile aumento del suo peso specifico qualora l’annunciata riduzione delle forze militari etiopi avrà effettivamente luogo.
La questione del Jubaland – al cui interno si è sviluppata la sotto-questione del Gedo, i cui rappresentanti dei clan hanno provveduto ad eleggere un presidente antagonista a quello insediato a Chisimaio – è il primo scoglio su cui si testeranno le ambizioni di coloro che, in Somalia e all’estero, sono intenzionati ad avviare un processo di ricostruzione di uno Stato unitario e centralizzato. pq
21 maggio 2013
Pubblicato su Agenzia Nova
© Paolo Quercia e Agenzia Nova